Il legame esistente o da ricreare tra gli attuali strumenti di comunicazione e la comunità cristiana, come comunicare al meglio i diversi ambiti di vita cristiana, quale stile e quali modalità di intervento e di dialogo nel contesto della “piazza digitale”, come articolare la comunicazione tra la realtà ecclesiale e i media in casi problematici o situazioni di “crisi” riuscendo a proporre le ragioni in modo efficace senza alzare la voce: sono stati i temi toccati durante la tradizionale “due giorni” promossa lunedì 7 e martedì 8 gennaio 2019 dai Vescovi del Nordest nella “Casa S. Maria Assunta” di Cavallino e allargata ad un paio di rappresentanti – sacerdoti e laici – per ciascuna delle 15 diocesi della Conferenza Episcopale Triveneto. Oltre al vescovo Renato, erano presenti per la nostra diocesi il dott. Carlo Arrigoni, direttore de L’Amico del popolo e don Davide Fiocco, direttore dell’Ufficio diocesano di pastorale della comunicazione e della cultura.
Un paio di relazioni hanno offerto il quadro generale del tema “Per una Chiesa che comunica”: il prof. Adriano Fabris (docente di Filosofia morale a Pisa) ha sottolineato la necessità di saper utilizzare con competenza, da veri “testimoni” e non da “testimonial”, tutti gli strumenti della comunicazione perché “non sono mai solo dei mezzi; incidono e cambiano la mentalità, il modo di pensare e di vivere. Hanno un impatto fondamentale sulle persone ed aprono ambienti di interazione nei quali dobbiamo esserci per comunicare altro e rimandare alla trascendenza”. Nella seconda relazione don Marco Rondonotti (presbitero di Novara e ricercatore del Cremit dell’Università Cattolica di Milano) ha espresso proposte per una “pastorale 3.0”, invitando a dare un orizzonte più ampio alla comunicazione.
Gli ambiti di approfondimento, in tre gruppi, sono stati poi introdotti da tre apposite comunicazioni. Vincenzo Grienti (giornalista e digital editor, collaboratore della Cei per le comunicazioni sociali) ha parlato degli approcci comportamentali presenti nei social e ribadito l’importanza di ridare alla rete il suo carattere originario di condivisione tra persone, puntando molto sulla testimonianza, sulla prossimità e sull’accompagnamento. Per Gigio Rancilio (giornalista, responsabile social e web di Avvenire) «il mondo digitale è un luogo e i luoghi vanno abitati perché lì troviamo le persone; per questo deve diventare un nostro grande alleato. Dobbiamo riuscire ad ascoltare queste persone, capire quali sono i loro bisogni e cominciare a relazionarci meglio e con delle regole. Nel mondo digitale stiamo diventando sempre più marginali, eppure dobbiamo vederlo come un grande alleato». Martina Pastorelli (giornalista, fondatrice e coordinatrice di Catholic Voices Italia) ha suggerito come volgere le controversie in opportunità per «raccontare un’altra storia, il nostro impegno per le persone, mostrando quelle alternative migliori che ci sono quasi sempre e nessuno racconta, a partire anche dalle intenzioni ‘positive’ che spesso ci sono anche nelle critiche rivolte alla Chiesa. Il cristianesimo è un’opzione positiva; è il grande sì che la Chiesa dice all’uomo, a tutte le persone».
Nel trarre alcune conclusioni sui lavori della “due giorni”, Piergiorgio Franceschini (responsabile della Commissione triveneta della comunicazioni sociali) ha infine rilevato il valore «dello stare nei media e nei social da testimoni – lo stile è sostanza – che hanno qualcosa e Qualcuno di importante a cui rimandare. Diamo peso alle storie, tornando continuamente al vissuto, ai desideri e alle esigenze della nostra gente. Accettiamo la sfida di voler essere significativi e riconosciamo l’urgenza di avere, nelle nostre Diocesi, progetti comunicativi ed editoriali che rispondano alle attese e ai bisogni delle persone».
Nell’intervento finale il Patriarca di Venezia mons. Francesco Moraglia ha affermato: «Dobbiamo abitare il mondo dei media e dei social con libertà, consapevoli anche dei nostri limiti. Non sono un assoluto, ma non possiamo ignorarli, non conoscerli o snobbarli. Per questo è importante che la Chiesa si doti delle competenze necessarie facendo entrare di più questa materia e questo ambito nel nostro modo di essere cristiani oggi, a cominciare dai Seminari e dagli Istituti di Scienze religiose. Ma sappiamo bene che, alla fine, non basta essere solo competenti; bisogna essere anche uomini e donne di Chiesa ed è necessario riuscire a padroneggiare tali mezzi e strumenti da uomini e donne di Chiesa, con liberta’ e fiducia».