Adeguamento liturgico della Cattedrale

Una reliquia che ha attraversato tre secoli

Ricorderà la maestria di don Albino nel trasmettere le verità del Vangelo

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«Questa edizione tascabile del Nuovo Testamento fu di don GioBatta Luciani, professore di latino e greco al Seminario di Belluno». Don Giovanni Battista Antonio (1819-1881) era fratello di Pietro Luciani (1814-1901), il bisnonno paterno di Albino Luciani; egli aveva anche una sorella, di nome Maria Margherita (1808-1890), che fu la nonna materna del gesuita padre Felice Cappello, Servo di Dio.

Don GioBatta ebbe qualche sventura nella vita. Era stato «arrestato dopo il 1848, condannato a detenzione nella fortezza di Legnago e poi a domicilio coatto in Verona nella parrocchia di Santa Eufemia»; il bravo professore di lettere antiche era stato inquisito e condannato per alcuni suoi scritti patriottici filoitaliani: ricordiamo che fino al 1866 il Veneto era sotto l’Impero asburgico. Il citato volumetto, che raccoglie i testi del Nuovo Testamento in latino, «fu acquistato in quest’ultimo periodo», il soggiorno coatto a Verona (1853-1865). Rientrato in diocesi nel 1865 dopo aver scontato la pena, don GioBatta visse i suoi ultimi anni come mansionario a Sappade (1876-1881), villaggio allora dipendente dalla Pieve di Canale d’Agordo, oggi dalla parrocchia di Caviola.

Il virgolettato, che narra le peripezie del volumetto e del suo primo proprietario, è trascritto da un autografo del 22 dicembre 1989, a firma di Edoardo Luciani e di sua moglie Antonietta Marinelli. Questa è stata maestra del sottoscritto nei cinque anni delle scuole elementari. Si perdoni quindi, da questo punto in poi, il ricorso alla prima persona, non conforme alle buone regole della scrittura.

Il libretto – ricorda ancora Edoardo – «i parenti Luciani lo avevano regalato a mio fratello [Albino] quand’era studente e lui vi appose (come si vede) il suo nome e cognome. Pervenuto a noi, dopo la morte di mio fratello, pare adatto ad essere modesto presente per un seminarista che riceve uno degli ordini minori». Era infatti il giorno della mia ammissione tra i candidati al diaconato e al presbiterato.

Insomma, quel volumetto acquistato a Verona da un prete di Canale d’Agordo, italianissimo patriota dell’Ottocento, è passato a un altro compaesano del Novecento, poi prete, vescovo e papa, che oggi veneriamo come beato. Alla luce di tutto ciò, il «modesto presente» è divenuto una preziosa reliquia. Poiché al momento non si intravede possibilità di un ulteriore passaggio di testimone, ho colto l’occasione della dedicazione del nuovo altare, per offrirlo alla Cattedrale di Belluno, di cui pro tempore sono canonico. Forse questo dono può suggellare quanto ho avuto l’onore e l’onere di fare per la causa di canonizzazione, collaborando alla ricerca e alla redazione della Positio.

Infatti, secondo le vigenti norme canoniche, va rispettata l’antica tradizione di «riporre sotto l’altare fisso le reliquie dei martiri o di altri santi» (canone 1237 § 2), tra i quali si possono annoverare anche i beati. Dal 4 settembre 2022 la nostra diocesi è onorata di avere un nuovo beato, figlio di questa terra, che dal 10 luglio 1943 al 30 giugno 1956 è stato mansionario della Cattedrale; poi gli fu assegnato il canonicato di san Bartolomeo, che conservò fino al 15 novembre 1958, giorno della sua elezione a vescovo di Vittorio Veneto. Il resto della sua storia è noto.

Pare quindi significativo che la reliquia posta sotto il nuovo altare della Cattedrale ricordi proprio Albino Luciani, il beato Giovanni Paolo I. In assenza di una reliquia di primo grado (parti del corpo), questo piccolo libro acquista, se vogliamo, un valore ancor più suggestivo: caratteristica del nostro “don Albino” fu proprio la capacità di comunicare in modo semplice ed efficace le verità della fede, ossia il messaggio evangelico racchiuso in quel volumetto, che «di generazione in generazione» ha attraversato tre secoli.

Davide Fiocco