Un tempo alternativo sabato a metà pomeriggio

Una veglia su zoom

L'esperienza ravvicinata con il coronavirus dei frati di Mussoi

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Quando un’iniziativa è accattivante difficilmente noi giovani ce la lasciamo sfuggire. È quello che abbiamo intuito per iscriverci all’incontro diocesano rivolto a noi e che in qualche modo speravamo supplisse alla classica veglia di preghiera per le vocazioni. La modalità è quella che molti di noi hanno affinato in questo tempo di quarantena: un incontro su zoom, sabato 9 maggio a metà pomeriggio, accomunati dalla voglia di passare un tempo alternativo, ma non banale, e pieno, dove le nostre vite, le nostre aspettative, il nostro essere amici o in ricerca di Gesù ci hanno spinto ritrovandoci letteralmente dai quattro angoli della diocesi e… delle nostre camere.

L’inizio, semplice e informale, è stato attraversato dai racconti dei giovani che quest’anno hanno partecipato al gruppo «Kairòs», rendendo testimonianza di come sia importante ritagliarsi del tempo per rispondere, o almeno provarci, alle domande più profonde che abitano il nostro cuore per poter dare un indirizzo un po’ più chiaro a tutta la nostra vita. È emersa l’importanza di fare questo cammino, con frequenza mensile che dura circa un anno, per trovare altri volti di giovani con cui confrontarsi e poter apertamente parlare di Dio. Anzi, è straordinario scoprire insieme che questo è il tempo favorevole, come dice il nome del gruppo «Kairòs», per crescere insieme nell’incontro con Gesù accompagnati da chi ha già fatto un pezzo di strada (gli animatori del gruppo – e anche dell’incontro di sabato – don Roberto De Nardin, suor Elisa Gusatto e Paola) e con coraggio si mette al fianco di chi muovi i suoi passi, ma decide di farsi aiutare.

Il secondo momento di ascolto ha messo al centro il brano del Vangelo della “lavanda dei piedi” che indica senza tanti giri di parole, ma attraverso i gesti, come incarnare l’esperienza cristiana: partendo dai piedi. Così don Roberto De Nardin ci ha stimolato nella riflessione: «Dio lava i piedi, cioè proprio gli strumenti base di ogni creatura incamminata in questa vita». Un gesto che parla dell’ospitalità, del servizio e della speciale cura del Signore per la fatica di chi sta utilizzando i propri piedi per cercare nel cammino quella pienezza di amore che, pur nella stanchezza di ogni sosta, non smette mai di fermarsi o che non vorrebbe mai cessare, oltre gli appagamenti, luccicanti ma fugaci, che il Mondo propone. Proprio perché i nostri piedi sono preziosi e delicati togliamo scarpe, ciabatte e calzini quasi solo per dormire e per lavarci». Non a caso sono questi i momenti in cui mostriamo di più la nostra debole vulnerabilità, la nostra impossibilità a rimanere immutabili e perfetti, perché siamo creature, punto e basta. Allora per percepire Dio che ci lava i piedi e per farlo a chi cammina insieme a me forse è meglio slacciare i lacci delle nostre resistenze, la suola del nostro orgoglio, l’avvolgente fasciatura delle nostre paure e mostrare il nudo piede per specchiarlo nel piede di chi ci sta accanto: si prova un po’ di imbarazzo ma è uno dei doni più belli che possiamo avere.

Di seguito si sono inseriti fra Sandro Periotto e fra Esterino Biesuz, frati della comunità di Mussoi, con la loro esperienza ravvicinata con il coronavirus caratterizzato dalla quarantena in totale isolamento e anche dal ricovero. Per noi è stato significativo sentire dalla viva voce di chi lo ha vissuto il racconto di questa malattia, che alcuni di noi vivono solo sui media, perché è un momento che cambia la percezione del dono della vita, la gratitudine della salute e la fragilità umana. Dai loro racconti emergeva l’iniziale paura che li ha colpiti di fronte alla notizia di essere positivi al tampone. È stato un tempo favorevole per ripensare alla vita sorretta da due pilastri: Dio e le relazioni.

Ci siamo poi divisi in sottogruppi per condividere in semplicità ciò che ci aveva maggiormente colpiti e per creare insieme un ritratto di Dio dalle molteplici sfumature. L’invito che abbiamo ricevuto «Datevi al meglio della vita, anche se #iorestoacasa!» è stato un dipinto che ha preso tinte sempre più vivide durante l’incontro attraverso il quale ciascuno ha raccolto qualche stimolo per rilanciare il proprio cammino verso quel meglio che papa Francesco augura a tutti. Ci siamo infine riuniti tutti insieme nella videochiamata per gli ultimi saluti e per la preghiera finale: il semplice gesto del segno della croce, che talvolta facciamo di fretta quasi automaticamente senza pensarci, è stato silenzioso ma sincronizzato a quello degli altri nei piccoli quadrati dello schermo e ci ha fatto vedere l’unità pur nella distanza fisica.