Lo stile di Chiesa nello stile di Gesù

Sintesi della fase sapienziale

Nella fase sapienziale, la Chiesa di Belluno-Feltre si è concentrata attorno a quattro temi elaborati secondo le indicazioni del Cammino sinodale:

  1. La missione della Chiesa nella sinodalità e prossimità
  2. Camminare con i giovani
  3. Il cammino di fede dei ragazzi con le famiglie in comunità
  4. Collaborazione tra comunità parrocchiali e corresponsabilità in comunità

Quattro risultano gli approfondimenti avvenuti nella “fase sapienziale”.

 

1. La centralità del Vangelo

«Io sono il pane della vita; chi viene a me non avrà fame e chi crede in me non avrà sete, mai!» (Gv 6,34). Dopo esserci raccolti come equipe nel leggere le sintesi arrivate dai vari gruppi sinodali che si sono riuniti in questi mesi, siamo rimasti sinceramente colpiti dal forte richiamo al Vangelo espresso in ogni sintesi, attorno a ogni tema. Abbiamo sentito e condiviso il forte bisogno di ritornare all’essenziale: vivere il Vangelo, concretamente, nella nostra quotidianità. Vale per le persone, ma anche per le famiglie, i gruppi e la comunità.

Il Vangelo è fatto di persone, incontri, momenti conviviali e sorrisi, cammini, preghiera, guarigione, gioia, come anche di fatiche, dolori e solitudini.

Emerge un bisogno molto intenso di vivere una Chiesa non giudicante e che sia più semplice e accogliente, disposta ad andare incontro all’altro e ascoltarlo. Radicarsi nel Vangelo comporta uscire dai nostri luoghi e ambiti per incontrare la gente dove vive, «accorgendosi di quanto bisogno e di quanto bene c’è nelle persone».

Il Vangelo offre lo stile di Gesù. Egli ha posto al centro la relazione con le persone che si avvicinavano a lui o che egli cercava. Ne deriva la centralità del prossimo, con il “suo essere prima del suo fare”; inoltre il suo personale carisma, indipendentemente dalla sua condizione o dalla sua storia. Ritornare al Vangelo richiede relazioni autentiche, fiducia e gesti semplici.

Intravediamo una scelta da operare, come premessa e condizione di ogni altra: il Vangelo diventi il fulcro della nostra Chiesa e sia una “quotidianità locale”. Questo ci porterà a riscoprire la gratitudine verso le opportunità che abbiamo di incontrarci, di essere più accoglienti, di cogliere che anche tra noi ci sono delle fragilità di cui farsi carico, di scoprire la comunità “oltre la comunità”.

Riusciremo così a cogliere che nel Vangelo c’è il desiderio di andare oltre, di aprire nuove possibilità, di realizzare nuovi incontri. Questo può avvenire attivando i nostri servizi e i nostri ministeri dove possiamo operare con quello che siamo.

Occorre che in comunità ispiriamo, motiviamo, sosteniamo la testimonianza al Vangelo, fatta di gratuità e concretezza, di credibilità e spinta ad andare oltre i confini per raggiungere chiunque.

Nella richiesta di Vangelo che è emersa in modo esplicito in questa fase sapienziale riconosciamo i tratti fondamentali per operare scelte adeguate nella fase profetica.

 

2. Lo stile di prossimità della Chiesa

Lo stile di Chiesa trova fondamento nello stile di vita di Gesù. Egli ha incontrato ciascuna persona, chiamandola per nome e cercandola tra quanti erano considerati gli “ultimi”. L’incontro con Lui è un incontro che trasforma, che salva, che riempie di gioia.

Gesù ci ha insegnato a farci prossimi e ci ha lasciato il compito di amarci gli uni gli altri. Come Chiesa siamo chiamati a farci prossimi di ogni persona, che sia essa già coinvolta o sulla soglia o al di fuori delle nostre comunità ecclesiali. Tale prossimità si dovrebbe esprimere in duplice forma: come “casa ospitale” per tutti coloro che desiderano farne parte, e come “Chiesa in uscita” per incontrare anche gli “ultimi” di oggi.

La Chiesa può essere “casa ospitale”, se siamo capaci prima di tutto di ascolto profondo e vero, un ascolto che permetta di abbandonare l’autoreferenzialità che impedisce una sincera vicinanza all’altro. L’ascolto richiede pazienza: è necessario che come Chiesa scegliamo di dedicare una parte importante del nostro tempo allo stare insieme e alla cura delle relazioni, anche se ciò comporta un ridimensionamento delle energie rivolte ad altre attività. “Esserci” gli uni con gli altri diventa la condizione indispensabile per “fare con e per” gli altri. L’ascolto reciproco alla luce del Vangelo ci aiuta inoltre ad affrontare le sfide del nostro tempo in un clima di confronto aperto e di pace, con il desiderio di mediare eventuali conflitti tramite il dialogo e il rispetto. Dedicare tempo alla cura delle relazioni permette di creare un clima di fiducia in cui far crescere rapporti autentici, che traggono nutrimento dall’esempio – tanto potente e forte da causare “scandalo” – della gratuità evangelica.

Se la Chiesa diventa “casa ospitale”, accogliente e autentica, e ne percepisce la bellezza, allora vivrà pienamente la sua vocazione missionaria impegnandosi a camminare anche “in uscita”. La libertà sperimentata nella “Chiesa/casa ospitale” permetterà che noi tutti possiamo vivere pienamente la nostra missione, che ha origine nel “fuoco che arde in noi” e si rinnoverà nel desiderio di annunciare il messaggio di gioia del Vangelo, senza paura di essere giudicati o di sbagliare. È decisivo in tutto questo essere testimoni non per dovere ma per scelta. Le comunità dovrebbero essere di supporto l’una all’altra in questo tentativo di uscire dalle porte della “Chiesa-casa” per andare a incontrare coloro che si collocano, o sono stati collocati, sulla soglia o ai margini, riconoscendo in ognuno un fratello o una sorella e in chiunque l’immagine di Dio.

La prossimità che auspichiamo come «scelta ordinaria di vita» dovrebbe concretizzarsi nell’avvicinare e accogliere chi è dubbioso, nell’aprirsi all’incontro in modo originale e sincero, con creatività; nell’accogliere la fragilità e la fatica dell’altro, senza giudizio, dedicando tempo all’ascolto e al silenzio per sostare insieme sulle domande di senso; nel valorizzare il percorso e il carisma del prossimo, per mostrare il volto di una Chiesa in cui c’è posto per tutti, proprio perché riconosce che ciascuno è prezioso.

 

3. Corresponsabilità e ministerialità nella comunità

Per essere Chiesa sinodale in missione sono state individuate alcune caratteristiche che definiscono la comunità ecclesiale. Attorno a questi aspetti e dimensioni vorremmo investire cura e dedizione pastorale in questo tempo.

Prima di tutto, una comunità non si può definire tale se le persone che la vivono non si sentono accolte, ascoltate e amate. È importante che la comunità intera assuma un atteggiamento di accoglienza non giudicante. Ritorna spesso negli approfondimenti svolti questa istanza. In particolare da parte delle famiglie si sente forte il desiderio di fare un’esperienza di comunità che sia più semplice, più accogliente e più inclusiva, in cui nessuno si senta giudicato. Questo tocca da vicino la realtà degli affetti, che esige un approccio e un linguaggio rispettoso, non consumato e non banale.

L’accoglienza va estesa a tutti riconoscendo la dignità delle esperienze di vita di ciascuno, in particolare dei più giovani. I giovani non smettono di guardare le figure adulte davanti a loro, in ricerca di testimoni credibili. Gli adulti, d’altro canto, possono valutare la propria credibilità e testimonianza di fede confrontandosi con i giovani. Questo richiede che la comunità assuma una forma di accoglienza intergenerazionale, senza separare giovani e adulti, senza etichettare, ma piuttosto favorendo il condividere la vita e la fede tra generazioni diverse, il lasciarsi interrogare dalla vita e il valorizzare le diversità come doni a beneficio di tutti.

Tra le diversità che caratterizzano le persone possiamo individuare e coltivare i carismi, doni dello Spirito Santo a ciascuno e a tutti. Una comunità oggi dovrebbe saper dare valore ai carismi e ai talenti di tutte le persone che la frequentano. In questo modo sarà riconosciuta sostenuta la vocazione che il Signore dona a ciascuno. I carismi di tutti, infatti, devono diventare sempre più parte viva delle nostre comunità, che pertanto sono chiamate a prenderli a cuore. Il senso di corresponsabilità tra le persone non potrà essere esercitato e vissuto appieno senza che il carisma, il talento e la vocazione di ciascuno vengano posti a fondamento della vita comunitaria. Solo una comunità accogliente, in senso intergenerazionale, che scopra e valorizzi talenti e vocazioni di tutti, saprà andare “in uscita”, con gioia e incontrare chi si sente o si trova “fuori”. Occorre scoprire quanto bene c’è ovunque e riconoscere che tutti ne abbiamo bisogno.

Una comunità che si lascia interrogare e mettere in discussione e, di conseguenza, si ripensa per discernere come essere, lei stessa, più missionaria, più gioiosa annunciatrice del Signore Gesù, mostrerà in modo più trasparente il suo volto e il suo radicamento evangelico.

L’esperienza dei cammini di collaborazione tra parrocchie, che da qualche tempo sono in atto nella nostra diocesi, sono un importante stimolo a sperimentare rinnovate forme di vita ecclesiale nel segno della sinodalità e della missione.

La corresponsabilità ecclesiale dovrebbe concretizzarsi in un coinvolgimento vicendevole, assumendo forme concrete di esercizio della ministerialità in équipe. Puntiamo su dei ministeri condivisi. Il coinvolgimento è rivolto alle persone che frequentano la comunità, ma anche alle persone che non la frequentano. Il coinvolgimento di tutti può avvenire a partire dal lavorare insieme e attorno a dei progetti comuni. Il Signore Gesù è presente nel volto di tutte le sorelle e di tutti i fratelli che le comunità incontrano nel proprio cammino. Così va improntata la ministerialità ordinaria della comunità ecclesiale. Occorre vigilare perché non diventino servizi fine a se stessi.

 

4. L’annuncio: priorità pastorale della missione della Chiesa

Una Chiesa sinodale che mira alla missione comprende anche le persone che sembrano più distanti o che si sono allontanate. A loro la fede va soprattutto testimoniata non come un dovere, ma come un fuoco che scalda la vita. La testimonianza, poi, si traduce in azioni di bene, mostrando come Gesù ci abbia insegnato a essere felici. Il Vangelo è una buona notizia per tutti. Da ciò deriva l’esigenza di rinnovare l’annuncio di Gesù, della fede in lui, della vita cristiana e dell’amore che ne scaturisce. Lo si coglie in particolare nelle giovani generazioni. Verso di esse c’è una particolare sensibilità e attenzione da parte delle nostre comunità che a volte manifestano una certa stanchezza.

Annunciare sta nel cuore della vita ecclesiale ed è il modo in cui essa si mette nuovamente alla ricerca degli altri – qualsiasi! – per incontrarli, per condividere con loro e per aprirsi insieme al nuovo che avanza. Tutto il vissuto delle nostre comunità ecclesiali potrebbe diventare luogo e occasione di annuncio, essenziale, gioioso, che va alla sorgente della fede e al cuore delle persone.

Ad esempio, è ormai assodato il passaggio da un catechismo scolastico impostato deduttivamente a un’esperienza di incontro che tenga conto del contesto e dei soggetti che vi operano. Vi è l’urgenza di caratterizzare e accompagnare ogni forma di catechesi con esperienze di vita comunitaria, che prevedano la partecipazione alla vita liturgica e siano arricchite con adeguate attività culturali. Questo vale anche per i giovani ma lasciando che emerga il loro protagonismo.

In genere agli adulti si proponga una formazione sulla Parola di Dio, coinvolgendo insieme più parrocchie e attivando il metodo della narrazione. Si tratta di rilanciare, anche a riguardo, il metodo della “conversazione nello Spirito”.

È richiesto da parte della comunità ecclesiale un atteggiamento che favorisca un’accoglienza non giudicante e inclusiva. È proprio lo stile evangelico che ci aiuta a liberarci dai pregiudizi. L’accoglienza è necessaria anche nei confronti dei nostri preti. È quello stile che aiuta a cogliere con libertà le proposte e le novità e per lasciarsi guidare dallo Spirito.

Primi destinatari dell’accoglienza e dell’annuncio sono le famiglie. Il coinvolgimento delle famiglie è facilitato, quand’è associato a eventi di festa o comunque ludici e formativi. Le modalità e il linguaggio dell’invito ai momenti di convivialità, di festa e di aggregazione sono decisivi: la comunicazione personale può essere ancora più premurosa e amorevole. Quando le famiglie partecipano unite all’Eucaristia, è utile accoglierle personalmente e coinvolgerle nei vari momenti della celebrazione: letture, offertorio, canti, servizio liturgico dei ministranti…

Nel riconoscere la centralità dell’Eucaristia, vi è al contempo una richiesta di revisione del rituale, per facilitare un riavvicinamento delle nuove generazioni. Sia nella catechesi, sia nelle celebrazioni e nelle altre pratiche di fede è importante che il linguaggio tenga conto delle mutate sensibilità.

Sono comprensibili le resistenze al cambiamento da parte di alcuni animatori e catechisti che operano nelle comunità e anche di alcuni parroci, tuttavia vanno rimarcati i motivi profondi di quest’attenzione rivolta alle situazioni di vita delle persone e alle famiglie e dedita essenzialmente all’annuncio. Non si tratta solo di acquisire nuove tecniche per essere più coinvolgenti: rinnovare i cammini di annuncio e di fede è una questione delicata, perché riguarda direttamente “la qualità evangelica” del contesto comunitario dove questi vengono attuati. Su questo intendiamo aprire ricerca e ulteriore sperimentazione pastorale.

10-05-2024