Alla comunità del diaconato di Vicenza

Omelia alla comunità del diaconato
01-08-2019

Es 40,16-21.34-38; Sal 83 (84); Mt 13,47-53

È interessante la domanda che l’evangelista mette in bocca a Gesù: «Avete compreso tutte queste cose?». I discepoli rispondono: «Sì». Sinceramente io avrei piuttosto esitato. La parabola che la Liturgia ci ha riservato per oggi, lascia il fiato sospeso. C’è un “buttare via”, una “separazione dei buoni dai cattivi”, un “gettare nella fornace ardente”… che non ci lasciano indifferenti. Proprio a motivo del nostro essere discepoli c’è qualcosa che si blocca in noi e che suscita disagio, scoraggiamento e, infine, ci fa chiedere: «Ma quale immagine di Dio sta richiamando Gesù in questa parabola?».

Il libro dell’Esodo meditato in questi giorni ha continuamente spostato l’immagine di Dio. Essa si è fatta imprendibile. Consideriamo il fuoco che arde nel roveto, a cui Mosè si è avvicinato scalzo e si è sentito chiamato; e, poi, la nube, che rimaneva sulla Dimora nella tenda del convegno, mobile e pellegrina, che determina le tappe del viaggio di liberazione del Popolo dell’Alleanza, mentre nella notte ardeva un fuoco ben visibile in essa. In tutto questo Dio rimane invisibile. Il suo volto è oltre, non è raggiungibile. Nessuno se ne può impossessare. Gli occhi, nella loro presa sugli oggetti che raggiungono, non lo possono contenere. Nei versetti finali dell’Esodo appena proclamati addirittura «Mosè non poté entrare nella tenda del convegno, perché la nube sostava su di essa e la gloria del Signore riempiva la Dimora». Ieri il racconto dell’Esodo ci parlava del volto raggiante di Mosè appena sceso dal Sinai, ma ci spiegava: «poiché aveva conversato con il Signore».

Interessante il salmo 83 che abbiamo pregato: «L’anima mia anela e desidera gli atri del Signore». Questa espressione – “gli atri del Signore” – ci colpisce. C’è un tirocinio di vita da trascorrere negli “atri” del Signore.

Ci basti qui evocare, a compendio di tutto il Vangelo, nel momento stesso in cui Gesù deve tornare al Padre, le parole consegnate a Maria di Màgdala nella sua azzardata ricerca e fremente attesa: «Non mi trattenere».

Mi immagino così lo «scriba divenuto discepolo del regno dei cieli… simile a un padrone di casa che estrae dal suo tesoro cose nuove e cose antiche».

Ci fa davvero bene questa Parola: diventa l’oggi di salvezza per noi, per le nostre Chiese.

Le parabole del Regno – riconsegnateci in questi giorni – ci parlano di un Regno che non è in nostro potere, non è circoscrivibile, non l’ha già compiuto, tra noi, nessuno. È un “tesoro nascosto” ancora da scoprire, al massimo siamo chiamati ad impegnare tutto di noi per acquistare il campo, ma il tesoro resta ancora un dono che ci sorprende. Poi Gesù ci ha detto che tale Regno è come un mercante in cerca di pietre preziose. Tale mercante ne trova una di grande valore. Siamo una Chiesa discepola chiamata a protendersi verso il Regno, dunque essa è lì in quel mercante che cerca.

La Parola di Dio di oggi ci purifica, ci libera, ci rasserena di fronte alla tentazione di vedere e possedere l’immagine di Dio. Siamo ancora pellegrini, migranti, discepoli, diaconi… Desideriamo ancora gli “atri del Signore”… Giorno dopo giorno siamo ad imparare ad essere fratelli e sorelle, in quell’amicizia di Gesù per cui ci scopriamo amati. Come dice il finale del racconto evangelico odierno: «Terminate queste parabole, Gesù partì di là».

Sì, “partiti” con Gesù!

Dunque non siamo gli angeli, di cui racconta Gesù nella parabola di oggi, che separano i cattivi dai buoni. Non siamo per questo. Cogliamo l’anelito di giustizia che tale immaginario richiama, ma restiamo sulla strada di Gesù, senza sfondare la dimora dove la nube di Dio sta indicando la sua gloria nello stesso cammino di liberazione del suo Popolo i cui confini non conosciamo…

Auguro a voi diaconi di dare testimonianza e di vivere il vostro ministero negli “atri del Signore”, come “discepoli del Regno”.