1Gv 1,5-2,2; Sal 102; Mt 11,25-30
Nel giorno in cui celebriamo la festa di santa Caterina da Siena, la nostra Chiesa di Belluno-Feltre saluta un suo amato e apprezzato presbitero. Siamo convenuti qui, nella sua terra di origine e poi anche di ministero. Comprendiamo che la gente di quassù porta nel proprio spirito la persistenza della valle che la solca e la consistenza delle possenti montagne che la racchiudono. Così anche il nostro caro don Gigi. Nella preghiera di colletta della festa di oggi troviamo un’ispirazione: «O Dio, in Santa Caterina da Siena, ardente del tuo Spirito d’amore, hai unito la contemplazione di Cristo crocifisso e il servizio della Chiesa…». Proprio in queste parole scorgiamo anche la genuina spiritualità a cui don Gigi ha attinto e di cui si è alimentato nella sua arguta intelligenza, con la sua concreta e versatile umanità, la sua capacità di scandagliare la verità della vita, la sua connaturata passione sociale e la sua sincera dedizione fraterna: la “contemplazione di Cristo crocifisso” e il “servizio della Chiesa”, che rappresentano le sponde entro le quali egli ha convogliato la sua vita, la sua vocazione, il suo ministero.
Innanzitutto don Gigi, sulla scia della spiritualità focolarina, ha cercato e approfondito la rivelazione del “Cristo abbandonato”. E l’ha vissuta con sincerità di cuore e con spessore esistenziale. Nell’atto di abbandono di Gesù in croce traspira un balsamo di amore che don Gigi ha raccolto, ha posto nelle proprie ferite e ha saputo versare nelle fragilità di tanta umanità nella quale si è identificato ovunque ha vissuto. Dal Brasile, dove don Gigi è approdato, consegnandosi con sincerità e generosità per ben 23 anni e dove ha lottato, in nome del Vangelo, per la dignità delle persone, è giunta questa limpida testimonianza di una religiosa: «Una delle immagini più forti che porto con me è quella di un prete completamente spogliato di se stesso»; egli «non ha mai pensato a se stesso, ma era sicuro che l’altro avesse più bisogno di lui; il meglio era per l’altro, per i più bisognosi». Le parole di Gesù – «Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore» – oggi ancora ci sorprendono quando sono anche il racconto del suo abbandono d’amore nei piccoli, nei bisognosi, nei poveri.
Sembrava proprio così don Gigi nei suoi ultimi giorni, lì all’ospedale di Feltre, prima del rientro alla casa Kolbe, diventata per lui una protezione e una sicurezza. Affaticato nel respiro, ma ancora vigile e disponibile, con il soffio quasi impercepibile della sua voce, egli spandeva abbandono fiduciale e dolcezza disarmata. Con vena di ironia e con fine affabilità a me – bardato con grembiale, cuffia e mascherina – ha detto con un sorriso che resta per me incancellabile: «Ma sei anche elegante!». Don Gigi spiazzava così, con un’acuta verità che sapeva scorgere ovunque.
È così che appare anche il suo “servire la Chiesa” che fu franco, limpido e integrale. Le tante comunità in cui ha svolto il ministero sono impreziosite di questo suo servire e amare. Anche quando appariva la fragilità e la vulnerabilità della sua persona, toccata tante volte dalla sofferenza, don Gigi ha perseverato nel “servizio della Chiesa”, ricercando, testimoniando e costruendo in essa la chiamata e il dono dell’unità e della comunione. La parola ascoltata dalla prima lettera di Giovanni traccia il cammino lungo il quale don Gigi si è inoltrato: «Se camminiamo nella luce, come egli è nella luce, siamo in comunione gli uni con gli altri, e il sangue di Gesù, il Figlio suo, ci purifica da ogni peccato».
La “comunione gli uni con gli altri” è una purificazione a cui la Chiesa è chiamata, un battesimo che la rigenera. In questo nostro tempo lo Spirito del Signore ci sollecita a camminare insieme, come discepoli e discepole del Signore e come comunità sorelle. La nostra Chiesa – e in particolare il nostro presbiterio – a don Gigi devono un grazie particolare per avere testimoniato con trasparenza di sentimenti, con la concretezza dei fatti e in nome del Vangelo, la fraternità con cui ha inteso servire la Chiesa e con cui ha saputo iniziare a una più integrale dignità la vita di ogni persona che incontrava. Giusti sei anni fa, al mio primo incontro con il presbiterio diocesano, don Gigi testimoniava: «In missione in realtà sono stai i poveri a convertire me, mi hanno fatto diventare più uomo». Poi alzando il tiro disse: «La vita in comune: ascoltare, avere misericordia, accettarsi nei limiti che tutti abbiamo. Io ho trovato la salvezza nella comunione. Per me questo è il rinnovamento della pastorale». Ne sono testimoni soprattutto le comunità che abitano questo territorio, ma non solo.
In questo nostro celebrare la Pasqua di Gesù non si può non immaginare la fraternità, corroborata di eternità, con cui si incontrano don Gigi e don Francesco. Da quando in questa terra si sono separati un anelito di attesa vibrante e impaziente li ha tenuti uniti nella speranza. Ora li pensiamo nel loro magnificare il Dio dell’amore: «Benedici il Signore, anima mia, non dimenticare tutti i suoi benefici. Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà e di misericordia».