Eucaristia all’Eremo delle Carceri

Omelia durante il pellegrinaggio dei giovani ad Assisi
11-08-2019

Os 2,14-15.19-20; Sal 44; II Cor 4,6-10.16-18; Gv 15,4-10

 1.

In questi giorni, mi si è risvegliato il ricordo di uno dei doni più belli e più grandi che penso di aver ricevuto: 16 anni trascorsi – fianco a fianco – con giovani della vostra età. Per loro era la stagione di vita dell’università. Mi hanno rovesciato come si rovescia un calzino. Il giorno in cui è stato annunciato che diventavo vescovo nella diocesi di Belluno-Feltre, ho detto con commozione che come fa un vasaio che prende della creta, la lavora e, a volte, la riprende dopo aver fatto un primo prodotto per rifarlo migliore… così mi sentivo io, rifatto dai giovani con cui avevo condiviso e dissi: «Sì, stessa creta, ma un vaso nuovo…».

Ci è capitato così in questi giorni: ti senti rifatto… Sei tu: stessa creta, ma le mani di tanti “fratelli e sorelle” che avevi accanto ti hanno come riplasmato, almeno in alcuni aspetti.

Coraggio: hai percepito che c’è una miniera di cose belle in te. Sei preziosa, prezioso… C’è una voglia, un desiderio di bene, di vita, di bellezza, di felicità in te. C’è l’energia dell’amore.

Ritorna la settima domanda che ci è stata consegnata in questi giorni: «Per chi spendere la vita?». Corrisponde al grazie di questa Eucaristia. L’offertorio – che spesso ci sfugge – è questo cavar fuori dal “nostro lavoro”, da noi, ciò che deve diventare “pane di vita”, “vino di salvezza, di guarigione, di gioia”.

 

2.

Ho chiesto a Chiara ieri, nel gruppo, di riprendere una sua domanda. Lei constatava che non è semplice e facile entrare in un cammino spirituale, perché ci si sente con delle fatiche nell’esperienza di fede. Aveva detto: «Mi sento non troppo credente». Bella ed efficace questa espressione! Potremmo trovarla anche in Francesco, in Chiara d’Assisi, in Paolo nella seconda lettura di oggi.

Ed ecco la domanda di Chiara: «Ma cosa vuol dire e cosa comporta il termine Dio?».

Nella quinta tappa del cammino la domanda era azzardata: «Come il Padre ha cura di me e di noi?». La risposta non può che restare aperta: si tratta di un Padre che ha cura di me e di noi. Gesù ne ha parlato in questi termini: un «Padre buono» che ti ama come figlio/a amato/a. Nel battesimo che Gesù ha ricevuto dal Battista c’è una voce dall’alto che gli confida: «In te mi compiaccio». E significa: in te è la mia felicità, godo di te… Sono le uniche parole di Dio! Dio non dice tanto di più nei vangeli.

Sì è vero, come ha detto Chiara: forse non ci sono parole sufficienti per spiegare cosa significhi e cosa comporti questa parola “Dio”. Noi la usiamo tanto e spesso: può succedere che esprima semplicemente la nostra ricerca, il nostro desiderio di Dio… forse, a volte, la nostra delusione e anche la nostra rabbia…

Per qualcuno quella parola è, pure, diventata portatrice d’odio e motivo di conflitto verso chi è diverso e non lo si accetta.

A riguardo, oggi, la prima lettura ci scombina: nella quinta tappa del cammino abbiamo fatto nostra la parola di Gesù per dire Dio. Egli si portava dentro, in profondità, quello che significa ed è “Dio”. Lo chiamava così: «Papà buono».

Osea, nella prima lettura, azzarda anche un’altra immagine e così anche il Salmo responsoriale: Dio è raccontato come uno “sposo pazzamente innamorato della sua sposa”. Egli la attira a sé, la conduce in un luogo appartato, il deserto, e parla al suo cuore.

Si capisce che è successo qualcosa: forse da parte di lei c’è stato un amore perso, o venduto, o che si è raffreddato ed è andato altrove…

Egli la cerca, la “seduce”: c’è un amore che si fa, che si genera ancora… Bellissima questa immagine per raccontare di Dio!

A Francesco è successo questo: si è sentito cercato e amato.

A Paolo è capitato lo stesso: il momento più buio, più basso, più lontano della sua vita è diventato il momento in cui lo sposo cerca la sua sposa, la ama, la avvolge. Così fa Dio!

Ecco, allora, la domanda centrale, la quarta. Era nel bel mezzo del cammino: «Tu dove sei?».

Il “tu” è decisivo. Ognuno di noi sa che, senza il “tu” che sta di fronte, rischiamo di identificarci con il mondo intero, addirittura con Dio. A volte si può diventare un “io” troppo grande e perfino mostruoso… e rimanere soli.

In questi giorni, dei “tu” concreti – li abbiamo anche chiamati francescanamente “sorelle, fratelli” – ci hanno donato qualcosa che hanno permesso a ciascuno di ripensarsi e ridefinirsi, di collocare meglio qualche inquietudine che si porta nel cuore.

Guardando a Francesco d’Assisi, possiamo dire che c’è un “tu” di Dio che entra nell’avventura della tua vita. C’è il volto di Dio sul quale tu puoi fissare il tuo sguardo di ricerca, il tuo desiderio di felicità e a cui puoi affidare le tue paure…

Francesco nel crocifisso, verso cui aveva puntato tutto il suo desiderio, ha colto il “Tu” di Dio. Egli aveva percepito questa voce: «Francesco, ripara la mia casa che come vedi è tutta in rovina».

È il “Tu” di Gesù crocifisso che ha gli occhi spalancati su una grande e bella vita. Le braccia sono aperte, estremamente lunghe per un immenso abbraccio…

E quel “Tu” sa toccare il cuore di Francesco e gli scatena una pazza voglia di ridare bellezza alla vita, alle persone, alla società, alla Chiesa.

Nella lettera che abbiamo ricevuto alla Pieve de’ Saddi, è raccontato che Paolo incontra il “Tu” di Dio in Gesù che gli confida: «Saulo, perché mi perseguiti?».

Stupendo questo “tu” che si frantuma e vive in tanti “tu” coi quali si ha a che fare.

Semplicemente così: quel “tu” che è Gesù, che si è affacciato sulla soglia della vita di Francesco, di Paolo, di Chiara, può essere il “tu” che cerchi e verso cui, forse, provi paura, incertezza, diffidenza; o che hai già conosciuto, ma che ancora non percepisci per la bellezza e la bontà che rappresenta.

Al termine ci sarà un gesto: riceverete un Vangelo.

Forse tale consegna è già avvenuta in altre situazioni. Oggi è nuova: può essere il “Tu” di Dio, che ti dona la sua cura, ti incoraggia, ti confida che la tua vita è una storia d’amore da vivere alla grande.

Prendilo il Vangelo: vi è anche il tuo incontro con Gesù. Non è già scritto. Il Vangelo è un racconto aperto dove si narra di altri fratelli e sorelle che si sono fidati di quel “tu” e ad esso si sono affidati.

Scrive Francesco nel suo testamento: «Il Signore mi rivelò che io dovessi vivere secondo la forma del Santo Vangelo». (…)

Santa Chiara sulla Regola di Vita scrisse: «La forma di Vita dell’ordine delle Suore Povere, istituita da San Francesco, è questa: osservate il Santo Vangelo di nostro Signor Gesù Cristo, vivendo in obbedienza, senza nulla di proprio, e in castità».

Il Vangelo che abbiamo poco fa letto ci riporta questa parola di Gesù: «Rimanete nel mio amore».

 

3.

Siccome la condivisione si è davvero “liberata” in questi giorni tra noi, sento di dirvi un particolare che spero che l’interessato mi perdoni dal momento che lo racconto.

Eravamo al santuario di Sant’Ubaldo a Gubbio. Il segno da compiere era quello di consegnare nel post-it ciò di cui liberarsi per sperimentare la cura di Dio e degli altri. Io ho fatto questa consegna attraverso delle parole: le chiusure, le forme di orgoglio, la non piena libertà…

Poi, mi sono un po’ trattenuto prima di prendere il foglietto con cui mi sarebbe stato segnalato il nome di cui mi sarei dovuto prendere cura. Mi sono detto: chissà? cosa farò? chi dovrò affiancare? Ho un po’ esitato, poi ho puntato lo sguardo su uno di quei foglietti piegati, come se stessi cercando proprio quello. L’ho preso e aperto. Era scritto: don Roberto.

Mi ha fatto molto pensare questo.

Vorrei suggerirvi, di portare con voi quello che in questi giorni avete cercato, per cui anche avete scelto di venire e che, poi, lungo il cammino vi è stato donato.

In realtà si riceve davvero ciò che si cerca. Inoltre, come è capitato a me, non pensate che sia lontano dalla vostra vita, non rimandate di riceverlo: può essere tanto vicino.

Sì, c’è qualcosa che puoi fare subito…