Festa di santa Lucia

Omelia III domenica di Avvento - Cappella Centro Giovanni XXIII
13-12-2020

Is 61,1-2.10-11; Salmo da Lc 1,46-54; 1Ts 5,16-24; Gv 1,6-8.19-28

Ringrazio di questa opportunità di condividere un momento di preghiera, che non è “qualsiasi”, ma la celebrazione dell’Eucaristia, dunque il “cuore”, il centro della tradizione cristiana, in questa III domenica di Avvento e particolarmente nella memoria di Santa Lucia.

Nel Martirologio Romano è scritto: «Memoria di santa Lucia, vergine e martire, che custodì, finché visse, la lampada accesa per andare incontro allo Sposo e, a Siracusa in Sicilia condotta alla morte per Cristo, meritò di accedere con lui alle nozze del cielo e di possedere la luce che non conosce tramonto».

Allo sguardo premuroso di questa martire, venerata come “protettrice della vista”, viene spontaneo affidarsi a tutti voi che operate nell’ambito dell’oculistica.

L’emblema degli occhi sulla coppa, o sul piatto, sarebbe da ricollegarsi, più semplicemente, con la devozione popolare che l’ha sempre invocata protettrice della vista a motivo dell’etimologia del suo nome dal latino lux, luce. Probabilmente la memoria del suo martirio, collocata nei giorni prossimi al solstizio d’inverno, rafforza questa tradizione.

La Liturgia ci colloca nella III domenica di Avvento. La Parola appena proclamata ci offre una visione di profondità e di fiducia che ben si addice alla stagione difficile e travagliata che stiamo vivendo. Immagino voi che vivete la vostra professione nell’contesto ospedaliero.

Abbiamo ascoltato, in particolare, una prima Parola “fondativa” per l’esperienza della fede. Non solo, direi per l’esperienza umana nella sua più nuda verità: quella della fragilità e, conseguentemente, della precarietà della salute.

Le parole tratte dal profeta Isaia che abbiamo ascoltato nella prima lettura, sono – per così dire – le “credenziali” con cui – secondo l’evangelista Luca – Gesù si è presentato all’inizio della sua missione, in età adulta, ai suoi paesani di Nazareth: «Lo spirito del Signore Dio è su di me, perché il Signore mi ha consacrato con l’unzione; mi ha mandato a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazie del Signore».

È immediato cogliere in queste espressioni ciò che più conta nella vita di tutti. Spesso la chiamiamo “salute”. Un linguaggio più spirituale direbbe “salvezza”. In più in queste parole è evocata l’esperienza della guarigione, in termini di scarcerazione, liberazione, gioia e grazia.

La presentazione che Gesù fa di sé a Nazareth si colloca in questa dimensione della vita.

Tutti noi la viviamo, l’attraversiamo, la sperimentiamo, la cerchiamo. Negli ambienti della sanità voi la ritrovate nella forma dell’accompagnamento medico e infermieristico di quanti vi cercano e ricorrono a voi.

Vi auguro di essere portatori/portatrici di un dono di prossimità, di fiducia, di cura che infonda speranza e che riconsegni alle persone dignità e ciò che è necessario quanto il pane quotidiano: sentirsi amati.

Diventa immediato passare anche alla parola del Vangelo. L’evangelista Giovanni ci parla di Giovanni Battista, lo descrive per la testimonianza di cui si fa portatore. Non cerca il proprio successo personale, non strumentalizza le circostanze che il suo ruolo gli offre – molta gente accorreva a lui – ma si offre per testimoniare un bene più grande. Così commenta l’evangelista: «Egli venne come testimone per dare testimonianza alla luce». Il simbolo della “luce” è vicino a voi, a ciò per cui operate. Per il Battista la luce era da cercare in colui a cui lui stesso stava dando testimonianza: Cristo Gesù. Sì, c’è una promessa più grande e più luminosa a cui dedicarci e per cui operare.

Auguro possa essere anche per tutti voi, pur nella fatica e nella fragilità in cui viviamo.