Nei giorni scorsi qualcuno mi ha chiesto come stavo. Ho risposto così: “traballante!”. Sentendo i medici per qualche confratello degente in ospedale, mi sentivo dire di lui: “disorientato!”. Ieri la lettura di Isaia annunciava che il Servo di Jahvè avrebbe indirizzato una parola allo “sfiduciato”. Ieri, inoltre, il salmo 68 recitava: «Sono diventato un estraneo ai miei fratelli».
Si tratta di sensazioni che ci hanno attraversato l’animo in questo tempo. Una domanda affiora nei nostri pensieri, a cui ha dato espressione efficace il salmo 76 delle Lodi di ieri: «Ripenso ai giorni passati […] il mio spirito si va interrogando. Forse Dio […] non sarà più benevolo con noi? […]. È finita la sua promessa per sempre?».
Tutto il percorso che abbiamo fatto nel ministero è stato sostenuto e abbellito da successive promesse. Tutti abbiamo nel ricordo quanto promettente ci apparisse il giorno dell’ordinazione e quello della prima messa.
Oggi, la fatica e il “non sapere come andrà a finire”, con le paure che ci abitano dentro, considerando come si è ristretta e assottigliata la vita pastorale delle nostre comunità, ci induce a dubitare che questa situazione possa essere ancora promettente. Ci viene da pensare che ciò che stiamo attraversando non possa custodire una promessa in grado di tenere ancora a tono il nostro ministero: «Forse Dio […] non sarà più benevolo con noi? […]. È finita la sua promessa per sempre?».
Non intendo forzare le cose. Guardo a quanto ci è successo in questo tempo. Dall’inizio di gennaio abbiamo dato il saluto a sei confratelli: don Vinicio, don Tarsillo, don Maurizio, don Igino, don Giovanni, don Elio. Ho visto la scia di luce che le loro figure hanno lasciato. Lo si è visto nelle tante persone che sono state toccate nel cuore da questo loro andarsene. C’è un bene incalcolabile che non viene registrato se non nella profondità del cuore, lì dove noi sappiamo che circola l’amore. In questi giorni difficili, paradossalmente il Signore sembra ricordarci che c’è un bene indicibile nel cuore delle persone, qualsiasi possa essere il contesto di vita, le circostanze in cui ci si viene a trovare. La “pastorale del cuore” sta diventando una grande promessa. Essa non si misura con i numeri, se i numeri segnalano solo la quantità delle persone coinvolte o delle cose fatte. Sembra che lo Spirito, con i suoi tempi, le sue improvvisazioni, il suo «vento che soffia dove vuole […], ma non sai da dove viene nè dove va» (Gv 3,8), la stia alimentando. Gesù, però, ci lascia un indizio: «Ne senti la voce». E, dunque, ci interpella. Non precludiamo, dunque, la possibilità di un “cuore nuovo” nelle persone, come hanno annunciato i profeti. Tale possibilità è già ascritta nella fedeltà di Dio. Forse dobbiamo tutti aiutarci a non negare l’azione misteriosa dello Spirito, a sentirne la voce, dice Gesù. Evitiamo di diventare preti che pensano e parlano come se non credessero nello Spirito… Ringraziamo Dio, invece, che non ha imprigionato il suo Spirito nelle nostre mani, che non lo ha costretto a stare al nostro comando. Questo ci dà la libertà di giocarci il ministero sulla promessa di Dio più che sulle nostre abilità e sul frutto delle nostre azioni.
C’è un pensiero da coltivare e da far diventare convinzione. Riguarda il “punto di partenza” del nostro ministero: Dio – nel suo mistero – abita già nell’intimo delle persone prima ancora che noi possiamo raggiungerle nel nostro ministero, con la nostra vicinanza, con la nostra parola, i nostri gesti, le nostre azioni… Ciascuno di noi è chiamato a cercare Dio in coloro che incontriamo, che raggiungiamo, a cui annunciamo la Parola di salvezza e a cui offriamo i doni sacramentali, perfino quelli che non ci piacciono o che ci possono risultare ostili, coloro che preferiscono andare altrove… Anche per noi Dio mai è un “già dato”, un “già acquisito”, un “già posseduto”. Tutto questo può dare un’impronta spirituale al nostro ministero.
Papa Francesco, in Evangelii gaudium 71, invita ad assumere «uno sguardo contemplativo, ossia uno sguardo di fede che scopra quel Dio che abita nelle sue case, nelle sue strade, nelle sue piazze». Il Papa aggiunge: «La presenza di Dio accompagna la ricerca sincera che persone e gruppi compiono per trovare appoggio e senso alla loro vita». Infine Francesco dichiara: «Questa presenza non deve essere fabbricata, ma scoperta, svelata. Dio non si nasconde a coloro che lo cercano con cuore sincero, sebbene lo facciano a tentoni, in modo impreciso e diffuso». Immaginiamo che cosa significa e comporta tutto questo se fosse il “punto di partenza” del nostro ministero. Sì, aiutiamoci a riandare alla scoperta di questa presenza di Dio che ci precede.
Ne deriva una gratitudine, con cui impreziosire e abbellire le fatiche della nostra preoccupazione pastorale. Ne accenno con un riferimento personale. Mi è capitato più volte, nei momenti più annodati e più difficili di questi cinque anni di ministero episcopale, di essere sorpreso, nella celebrazione dell’Eucaristia, del fatto che la comunità ecclesiale, nel sacramento stesso dell’Eucaristia, si ricorda di me, prega per me, per la comunione mia con essa. Così lo fa per tutto il presbiterio e i diaconi perché siano in questa comunione. Mai ciascuno di noi è dimenticato dall’Eucaristia, che è il Sacramento reale e mistico del corpo di Cristo e del corpo ecclesiale. È un pensiero stupendo: il ministero di cui siamo investiti è sostenuto da tutta la comunità dei discepoli del Signore. L’Eucaristia non è solo ciò che presiediamo, che gestiamo, ma innanzitutto è ciò che ci fa essere nel corpo di Cristo e, dunque, nella comunità concreta dove siamo; anche con tutta la Chiesa che non ha definizioni, non ha barriere né di spazio né di tempo. Insomma: “Tu sei pregato dalla tua Chiesa”. È impensabile un ministero che sia solo di fronte ad essa o che possa staccarsi da fratelli e sorelle che sono con noi al seguito di Gesù. Senza di loro non ci sarebbe neppure il nostro ministero. Siamo grati alla comunità ecclesiale di cui siamo parte viva! Stasera “nella Cena del Signore” ce lo ricorderà Lui stesso: «Se dunque io, il Signore e il Maestro, ho lavato i piedi a voi, anche voi dovete lavare i piedi gli uni agli altri. Vi ho dato un esempio, infatti, perché anche voi facciate come io fatto a voi» (Gv 13,14-15).