Lungo la via – 1

Omelia Celebrazione della Parola – Folgaria
20-06-2017

Es 3,1-15; Sal 79; Lc 24,13-24

«Non avvicinarti oltre. Togliti i sandali dai piedi, perché il luogo sul quale tu stai è suolo santo!».

Strano questo Dio: nello stesso tempo chiede di non avvicinarsi e di stare a piedi scalzati a contatto con quello stesso suolo.

Che cosa finora ci è successo nella terra santa dei nostri confratelli?

Non temiamo la tensione che viene a crearsi e il contrasto che può esserci in noi: non avvicinarci e stare a piedi scalzati a contatto diretto. Il Signore vuole attraversare con noi questa condizione paradossale in cui ci troviamo:

«Ho osservato la miseria del mio popolo in Egitto e ho udito il suo grido a causa dei suoi sovrintendenti: conosco le sue sofferenze. Sono sceso per liberarlo… Ecco il grido degli Israeliti è arrivato fino a me… Perciò va’! Io ti mando…».

Dio ascolta il mio, il nostro lamento, il lamento di ogni sua creatura.

Sembra la prima verità della nostra vita, quella più ancestrale. Spesso non riusciamo a gestirla e sfugge al nostro stesso controllo. Noi, a volte, ci vergogniamo di essa. È la nudità dei nostri piedi. Ma il Signore ci incontra così. Incontra ogni vita lì.

Tutti noi abbiamo potuto sostare e ci siamo sentiti ben rappresentati dalle parole di Paolo ai Romani, al capitolo 8: «22Sappiamo infatti che tutta insieme la creazione geme e soffre le doglie del parto fino ad oggi. 23Non solo, ma anche noi, che possediamo le primizie dello Spirito, gemiamo interiormente aspettando l’adozione a figli, la redenzione del nostro corpo».

In queste parole abbiamo trovato una verità per tante inspiegabili situazioni delle famiglie delle nostre comunità.

Nelle profondità di ogni essere c’è un lamento. La creazione lo porta nelle sue viscere. Dio lo ascolta.

«Lo Spirito stesso» – attesta Paolo qualche versetto oltre (26) – «intercede con gemiti in-esprimibili».

Nella nostra esperienza – anche quella pastorale – abbiamo compreso che l’ascolto profondo di questo lamento offre la più commossa e intensa vicinanza alle persone.

Quel lamento è come un segreto: chi lo raggiunge incontra la persona che lo esprime nella sua prima verità. Chi ascolta quel lamento impara la vita. È iniziato a vivere e ad amare.

Nei giorni al Cavallino con gli altri confratelli, don Rinaldo aveva citato un racconto preso dalla molteplice e frammentata opera del filosofo di origine ebrea Walter Benjamin (1892-1940): Il genio e la prostituta.

Cerco di parafrasare la sua citazione.

Il genio va da una prostituta e le chiede: “Cosa fanno gli uomini quando vengono da te?”. Lei risponde: “Vengono a fare l’amore. Poi si addormentano”. Il genio ancora le chiede: “E tu, allora, che fai?”. Lei risponde: “Resto lì accanto a loro, perché nel sonno si lamentano e io allora li accarezzo. Poi quando si svegliano, vanno via più sereni”.

Così il genio comprende che quella prostituta tiene un segreto che riguarda la profondità di quegli uomini che la frequentano, perché lei ha raccolto il loro lamento.

A volte è proprio chi non ci saremmo mai aspettati a conoscere il lamento di una persona, di certe situazioni, a conoscere nelle sue profondità il vivere.

Nella Laudato sì papa Francesco appare come colui che ha ascoltato in profondità il lamento oggi del creato.

Potremmo chiederci: noi come riusciamo a togliere i nostri sandali di fronte al lamento che sale dal suolo della nostra vicenda, che scopriamo molto prossimo a quello di chi ci sta accanto o incontriamo lungo il cammino dell’esistenza, che percepiamo nel profondo delle persone?

Ci sorprende la vicenda dell’Esodo. La storia di liberazione e di salvezza dentro la quale anche noi oggi siamo è iniziata così: dall’ascolto di Dio del lamento del suo popolo.

Questo racconto di Esodo ci permette di cogliere le profondità di ciò che avviene “lungo la via” verso Emmaus.

Il Risorto è mandato lì – similmente a Mosè e ad ogni chiamato – dove Dio ha ascoltato il lamento del suo popolo. I due discepoli verso Emmaus portano di nuovo questo lamento: «Speravamo che fosse lui…».

Ha un risvolto negativo quel lamento – non ce lo nascondiamo – infatti è un racconto perfetto nella sua totalità di persone, di fatti, di parole… Si diceva stamattina che non si può essere più perfetti e puntuali nelle informazioni date: i due discepoli «conversavano tra loro di tutto quello che era accaduto».

Immaginate quanta attenzione, quanto volontarismo, quanto zelo a dire tutto e a fare tutto e ritrovarsi “tristi”… e delusi…

Ricordo un prete 80enne, ora 96enne, per quello che aveva narrato a un gruppo di preti giovani. Raccontava che sapeva tutto di Gesù –  gli era stato insegnato fin dal seminario e l’aveva a sua volta predicato – ed era un Gesù perfetto, ma era come una statua di marmo compiuta, e gli risultava freddo e tremendamente duro, marmoreo appunto. Solo attorno ai cinquant’anni, quando ebbe il coraggio di aprirsi con alcuni sposi con cui si trovava e provocato dai loro racconti di vita, pian piano lo sentì di carne calda e tenera, da prendere per mano, da abbracciare…

È decisivo che qualcuno ascolti il lamento.

Si ferma qui oggi il nostro cammino: vi invito a donare in ascolto il lamento di ciascuno che è anche il lamento che ci accomuna e che ci rende vicini gli uni gli altri; il lamento che rappresenta il segreto di questa storia, del nostro oggi, delle nostre comunità, della nostra Chiesa, di chi sentiamo lontano e per cui a volte, con il salmo 79 appena pregato, ci viene da dire: «O Dio, nella tua eredità sono entrate le genti: hanno profanato il tuo santo tempio, hanno ridotto Gerusalemme in macerie…

Siamo divenuti il disprezzo dei nostri vicini, lo scherno e la derisione di chi ci sta intorno».

Ascoltiamo il Vangelo ancora… Poniamo accanto il Vangelo che oggi con il nostro racconto eil nostro ascolto abbiamo annunciato…

Ora un piccolo gesto. Lungo la via verso Emmaus ci siamo anche noi. È il percorso di questo giorno. Abbiamo anche conversato tra noi. Il Risorto continuamente può raggiungerci, senza che lo possiamo riconoscere almeno da come ce l’aspettiamo, ma lui ci ascolta, ascolta il nostro lamento, si fa carico del nostro segreto. Questa attesa la vogliamo esprimere con un gesto che faremo – uno ad uno – su questo racconto dei due discepoli lungo la via verso Emmaus. Accostandolo possiamo porre sopra le nostre mani o un altro gesto per dire che poniamo lì il nostro lamento perché sia ascoltato.