At 10,34a.37-43; Sl 117(118); Col 3,1-4; Mc 16,1-7
Non dimentichiamolo: quando Maria di Màgdala si reca «al sepolcro di mattino, […] è ancora buio». Il racconto dell’evangelista Giovanni di quel primo atto del nuovo giorno è ancora una ricerca, un’attesa, forse anche un tempo ancora troppo vincolato al giorno prima, quando il corpo di Gesù venne posto in un «sepolcro nuovo» nel giardino che si trovava nel «luogo dove egli era stato crocifisso» (Gv 19,41-42). Si spiega così l’annotazione dell’evangelista: «Infatti non avevano ancora compreso la Scrittura, che cioè egli doveva risorgere dai morti» (Gv 20,9). Lo dice di Pietro senz’altro, ma così al plurale è un rimando a tutti i discepoli di Gesù. Maria di Màgdala vede la pietra tolta dall’ingresso del sepolcro e, dentro, vede il vuoto. Un’unica prospettiva di sguardo nuovo viene discretamente attribuita al discepolo che accompagna Pietro – «quello che Gesù amava» – il quale giunge per primo al sepolcro. Di lui è detto che entrò nel sepolcro «e vide e credette».
Nella Veglia pasquale di ieri sera è stato l’evangelista Luca ad accompagnarci in questo primo arrivo al sepolcro dove era stato posto Gesù. Luca con Maria di Màgdala dice che c’erano altre due donne: Giovanna e Maria madre di Giacomo. Subito dopo accenna anche ad altre donne che erano con loro. Queste discepole di Gesù andarono al sepolcro «al mattino presto […] portando con sé gli aromi che avevano preparato». Non trovano il corpo di Gesù e si domandano «che senso avesse tutto questo». A esse, impaurite e con il volto chino a terra, viene detto: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo?» (Lc 24,5). Ed ecco un passaggio radicale in questa loro corsa e visita al sepolcro, un primo stravolgente annuncio: «Non è qui. È risorto».
Se è così, tutto cambia. Occorre ricominciare, ripartire, ripensare tutto. Non è più come prima. Come i discepoli e le discepole di quel giorno nuovo, anche noi siamo nella fatica di questo sguardo cambiato, di questo orizzonte nuovo che resistiamo a riconoscere come la nostra nuova collocazione. Probabilmente Paolo nella lettera ai Colossesi vuole dirci proprio questo con la sua immagine: «Cercate le cose di lassù». Non è immediato per noi darci ragione di quanto poi dichiara di noi, della nostra nuova condizione: «Voi infatti siete morti e la vostra vita è nascosta con Cristo in Dio!». La Liturgia nella Veglia pasquale è esplosa nel canto nuovo dell’alleluia, l’annuncio della risurrezione di Gesù. Oggi siamo noi a raccoglierlo, ma siamo anche nella condizione di quei graduali passaggi segnati da alcune incertezze ed esitazioni che i primi discepoli e discepole hanno attraversato.
Oggi viviamo un tempo che ci pone mille interrogativi. Sentiamo che di fronte al mondo anche la credibilità di noi che perseveriamo nel “cercare le cose di lassù” è allentata.
Forse stiamo ricomprendendo che occorre rimetterci nel cammino che Lui il Crocifisso Risorto ha aperto definitivamente: «Non è qui. È risorto».
Siamo a condividere un’esperienza umana che ci fa essere ancora di più cercatori di risurrezione. Il sepolcro vuoto non basta più alla nostra fede e fiducia e alla nostra speranza. Come Maria di Màgdala, come Pietro, come il discepolo che Gesù amava, come il gruppo delle donne di cui parlano gli evangelisti, dobbiamo riprendere il cammino, poiché il Risorto ha aperto immensamente la nostra vita.
In un’antica omelia sul sabato santo che rappresenta il silenzio che invade la terra dopo la crocifissione e la morte di Gesù, l’autore immagina la risurrezione come lo scendere di Gesù negli inferi della storia umana. È l’apertura del Risorto che ci riguarda:
«[Il Signore entrò] e, preso per mano [Adamo], lo scosse, dicendo: “Svegliati, tu che dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà
[…]. Ora parlo e nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgete! A te comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi prigioniero nell’inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti. Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige, fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti un’unica e indivisa natura”».
Proprio così: «Non è qui. È risorto!».