Vivere da cristiani questo passaggio

Omelia di fine anno civile nella solennità Maria Madre di Dio con il Te Deum laudamus - Belluno
31-12-2024

Nm 6,22-27; Sal 66 (67); Gal 4,4-7; Lc 2,16-21

Siamo al tramonto di questo anno civile 2024. Quali possono essere i sentimenti e i pensieri di noi cristiani in circostanze “civili” come questa? In questi giorni natalizi l’evangelista Luca ha collocato la nascita del salvatore in un contesto civile apparentemente estraneo e profano: «In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse il censimento di tutta la terra. Questo censimento fu fatto quando Quirinio era governatore della Siria» (Lc 2,1-2). Probabilmente è stato possibile censire anche il «Salvatore che è Cristo Signore»: così lo presenta l’angelo ai pastori di Betlemme. Potrebbe essere stato registrato con i suoi dati “civili”: “Gesù, figlio di Giuseppe che è appartenente alla famiglia e alla casa di Davide e che ha sposato Maria” (cfr. Lc 2,4).

I cristiani, dunque, non possono ignorare il tempo che vivono, i luoghi che frequentano. Uno dei testi più singolari, considerato molto antico, inizia a descrivere così i cristiani: «I cristiani né per regione, né per voce, né per costumi sono da distinguere dagli altri uomini. Infatti, non abitano città proprie, né usano un gergo che si differenzia, né conducono un genere di vita speciale». Si tratta della sorprendente Lettera a Diogneto. Qualche passo oltre, si dice di loro: «Vivono nella loro patria, ma come forestieri; partecipano a tutto come cittadini e da tutto sono distaccati come stranieri. Ogni patria straniera è patria loro, e ogni patria è straniera». Scorrendo il testo ci si imbatte su questa affermazione: «Dio li ha messi in un posto tale che ad essi non è lecito abbandonare».

In questo chiudersi di un tempo e nell’accendersi del nuovo anno, con quale stato d’animo e come vivere da cristiani questo passaggio? Eccola Parola che si è fatta carne per noi, ci chiama e ci coinvolge così: «Io vi dico: non preoccupatevi per la vita, di quello che mangerete; né per il corpo, di quello che indosserete. La vita infatti vale più del cibo e il corpo più del vestito» (Lc 12,22-23a). L’evangelista Luca nello stesso discorso di Gesù, più avanti, raccoglie anche questo suo invito: «Siate pronti, con le vesti strette ai fianchi e le lampade accese» (Lc 12,35), per poter aprire subito all’Atteso appena «arriva e bussa» (Lc 12,36).

Da cristiani siamo così stasera?

A me sembra che in questa circostanza di fine anno dobbiamo insieme ringraziare il Signore soprattutto perché non si è vergognato di noi in questo tempo che ci è stato dato di vivere. Anzi si è appassionato a noi ancor di più, si è vincolato a noi in un eccesso di fiducia fino a identificare se stesso con le nostre parole, le nostre scelte di vita, i nostri sbagli, le nostre attese. Come è rivelato a Mosè a riguardo degli Israeliti, anche noi riconosciamo che il Signore ha posto il suo nome su di noi e ci ha benedetti. L’evangelista Luca riporta dopo l’invito di Gesù a non vendere i nostri pensieri e il nostro cuore all’affanno per ciò che possediamo, queste sue parole: «Non temere, piccolo gregge, perché al Padre è piaciuto dare a voi il Regno» (Lc 12,32).

È un grazie sì imbarazzato, ma anche carico di stupore, potergli dire stasera: “Tu non ti sei vergognato di me! Hai addirittura alzato il tiro della tua fedeltà e della tua fiducia in me”.

Lasciamo spazio a questa verità del rapporto del Signore con noi. Cerchiamola questa sua verità in noi. L’evangelista Luca ci ha delineato così l’atteggiamento di Maria, ma anche ciò che provano i pastori: «Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com’era stato detto loro» (Lc 2,19-20).

Con questa gratitudine del cuore è possibile apprendere l’insegnamento che ci viene dal tempo che abbiamo vissuto in quest’anno. Da cristiani lo attingiamo dalla parola di Gesù: «La vita infatti vale più del cibo e il corpo più del vestito». C’è da ristabilire questa scala di valori, questa priorità che Gesù, dal suo venire in questo mondo a Betlemme al suo consegnarsi per amore a Gerusalemme, ci ha lasciato come Vangelo da vivere e da condividere, come espressione e ragione del nostro sperare, come amore di cui vivere. Tutto questo ci induce a diventare più leggeri, più sobri, più solidali, per amore.

Vorrei solo richiamare tre motivi di ammirata riconoscenza questa sera: papa Francesco per la sua libertà e il suo coraggio, il “cammino sinodale” che come Chiese in Italia abbiamo intrapreso per vivere con la gioia del Vangelo questo tempo e permettetemi di annoverare il Presidente della Repubblica per quello che rappresenta per tutti noi e per gli alti valori di democrazia che continua a testimoniare.