Perché oggi dovremmo cantare?

Natale del Signore – Messa del giorno
25-12-2020

Isaia 52,7-10; Sal 97 (98); Ebrei 1,1-6; Giovanni 1,1-18

 Con insistenza in questo “giorno di nascita” siamo stati invitati a cogliere e riconoscere la portata universale di quanto stiamo celebrando.

Isaia ci ha avvertiti: «Tutti i confini della terra vedranno la salvezza del nostro Dio». Anche il salmo ha ripreso, in un inno di lode, lo stesso motivo e ci ha ulteriormente coinvolti: «Acclami il Signore tutta la terra, gridate, esultate, cantate inni!».

Sembra, però, staccarsi dal nostro vivere e dal nostro contesto questa parola proclamata come il comunicarsi di Dio, il suo entrare in dialogo con noi. In tono piuttosto altisonante l’inizio della Lettera agli Ebrei ci fa notare che Dio «ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo».

Noi siamo rimasti altrove: presi dentro le morse di questa stagione che ci ha incalzato con delle paure e ci ha condotto dentro una nuova conoscenza della natura. Pensavamo di dominarla e piegarla ai nostri interessi, in realtà ci ha colti in ulteriore nudità, impotenza, fragilità. In questo tempo, infatti, la precarietà della nostra salute fisica e psichica è stata più evidente. Abbiamo maggiormente sperimentato la malattia e la morte. E tutto questo ci ha feriti anche interiormente, oltre che nei nostri affetti.

Perché, invece, oggi – nell’invito della Liturgia – dovremmo cantare o, come incalza Isaia, salire sui monti e annunciare buone notizie, come sentinelle che vegliano sulla città?

Il perché si dischiude in questa storia umile, dimessa, inaspettata, avvolta di tanta tenerezza, conosciuta tra le tenebre della notte e che inizialmente ha sorpreso solo alcuni pastori in veglia del loro gregge. Il Vangelo di Luca proclamato nella notte la segnala con queste semplici parole: «Troverete un bambino avvolto in fasce, adagiato in una mangiatoia».

Mi azzardo a commentare questo annuncio, sorprendente nella sua piccolezza e nella sua essenzialità, con quanto scritto ieri in un editoriale di un quotidiano: «Dobbiamo rendere grazie alla religione cristiana per avere scelto, come suo mito fondante, una nascita. Il simbolo della natività è il più universale, è un giro di pagina magnifico e inequivoco, al di sopra di ogni dubbio e di ogni commento. Se il presepe allieta anche molte case di miscredenti è proprio perché incarna, per chi non crede nella divinità, la vita». Alla conclusione l’autore così scrive: «Dopo un anno passato a temere che tutto stesse finendo, solo parlare di inizio è già un’enorme consolazione» (Michele Serra).

Sembrano ancora parole lontane rispetto a quanto celebriamo. In realtà ci raggiungono e ci interpellano nel cuore della nostra fede, lì dove – imbarazzati e meravigliati allo stesso tempo – dovremmo prorompere «insieme in canti di gioia», come incoraggia Isaia. ci facciamo portatori dell’annuncio della nascita di Gesù.

Le profondità e l’universalità della nascita di Gesù sono evocate all’inizio del vangelo di Giovanni: «Tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste. In lui era la vita e la vita era la luce degli uomini; la luce splende nelle tenebre e le tenebre non l’hanno vinta». Anche l’evangelista è ammirato della Vita che si manifesta e si fa luminosa.

Mi chiedo se non dovremmo aiutarci di più a diventare luminosi della Vita che ci è aperta e donata in Gesù, luminosi di tale dono di grazia dato a tutti, e farci sentinelle che prestano la loro voce per annunciare che il Signore consola il suo popolo.

Sì, insieme con tutti, possiamo iniziare di nuovo da quella nascita. Un noto commentatore nei giorni scorsi ha scritto:

«La notte di Natale nel racconto cristiano […] annuncia la venuta al mondo del “Salvatore”. […] Ai miei occhi si tratta dell’evento che rende la vita umana immensamente sacra. Nel tempo traumatico del Covid la festività di Natale ci ricorda che ogni morte non è mai una morte anonima ma è la morte dell’immensamente sacro» (Massimo Recalcati).

Sì, è un Natale nuovo questo per tutti!