Stolti e lenti di cuore a credere

Omelia nella Pasqua – Cattedrale di Belluno
17-04-2022

At 10,34a.37-43; Sl 117(118) ; Col 3,1-4; Lc 24,13-35

In questa sera del primo giorno dopo la crocifissione, la morte e la deposizione di Gesù, noi osiamo portare il sommesso annuncio consegnato alle tre donne che, secondo Luca, raggiunsero il sepolcro «al mattino presto […] portando con sé gli aromi che avevano preparato» (Lc 24,1). Erano Maria Maddalena, Giovanna e Maria madre di Giacomo e anche altre «che erano con loro». Viene detto loro senza tanti preamboli e con scarne parole: «Perché cercate tra i morti colui che è vivo? Non è qui. È risorto». Non conosciamo la loro reazione. Semplicemente sappiamo che raggiunsero gli apostoli e raccontarono loro quanto successo. Ma agli apostoli «quelle parole parvero come un vaneggiamento e non credevano ad esse». L’evangelista Luca è un discepolo di terza generazione. Non ha vissuto in prima persona questi eventi originari e fondanti. Anche lui come noi li ha ricevuti. Probabilmente dopo alcuni decenni dall’accaduto, Luca avverte che il Risorto è un incontro nuovo ancora da attendere, da preparare, da accogliere, da riscoprire e da rivivere.

È ancora questo evangelista a consegnarci questa sera il racconto dei due discepoli che se ne tornano a Emmaus, a casa, in preda ad una consistente delusione. È il giorno stesso in cui alcune donne avevano informato il gruppo degli apostoli e degli altri discepoli che qualcuno aveva detto loro che Gesù «è vivo».

I due discepoli riportano poi la più sconcertante affermazione che ancora oggi risuona in noi come un’inquietante domanda: «Alcuni dei nostri sono andati alla tomba e hanno trovato come avevano detto le donne, ma lui non l’hanno visto».

Ci chiediamo: ma perché non l’hanno visto? Che cosa cercavano? Che cosa si aspettavano dal Maestro che li aveva chiamati e coinvolti, che aveva comunicato loro parole di vita e compiuto gesti di cura e di salvezza?

L’inizio della Risurrezione non provoca rumore, non giunge come un trionfo che si impone, non esplode contro qualcuno, non ha nemici da sbaragliare. È, invece, una chiamata del cuore, un’apertura e una disponibilità che interpella in profondità il nostro vivere. È una “pasqua”, un passaggio della nostra fede che cambia radicalmente quello che siamo. Ce lo dice Paolo nella lettera ai Colossesi: «Se siete risorti con Cristo, cercate le cose di lassù».

L’accompagnatore dei due discepoli di Emmaus, dapprima anonimo e poi riconosciuto da loro allo spezzare del pane, li apre alla sua risurrezione: «Stolti e lenti di cuore a credere…». Ecco dove il Risorto accompagna i due di Emmaus ed ecco dove sta accompagnando oggi noi discepoli a volte smarriti, spesso scoraggiati e così imbarazzati nel portare la gioia del Vangelo nella vita. L’evangelista Luca sembra indicarci che occorre ritornare sui passi di Gesù, riprendere il ritmo del suo voler bene, aprire il cuore, il pensiero e la vita alla chiamata a risorgere con Lui, a cercare dove spezzare il pane e condividere la sua parola e in cui accendere i cuori, dove ritrovare la fraternità per la quale Gesù ha dato la sua vita…

Permettetemi di ritornare sugli eventi di questi giorni lì dove anche noi dal Risorto siamo sollecitati a non essere «stolti e lenti di cuore a credere…», lì dove siamo chiamati a passare dal sepolcro vuoto alla strada dell’incontro e della pace, della fiducia e della speranza, del perdono e della riconciliazione. E vi riporto questa riflessione:

«Che senso può avere allora celebrare la Pasqua del Signore? Ha senso perché, mai come in questo momento, avvertiamo il bisogno di una pace che viene dall’alto, proprio come la vita del Risorto. Mai come in questo frangente ci rendiamo conto che noi esseri umani siamo troppo piccoli per fare da soli, che abbiamo bisogno delle energie del Risorto, della sua vita, del dono della sua presenza in mezzo a noi.

Penso a un’immagine che circola da alcune ore sui media: due donne (ancora donne, come quelle recatesi al sepolcro) che tengono in mano una croce e che si guardano con franchezza e rispetto, forse con un po’ di imbarazzo, ma con una decisione potente. Appartengono a due popoli che in questo momento si combattono. Molti hanno contestato quel loro essere accanto. Ma quella prossimità è stata resa possibile da una semplice croce che era lì in mezzo, che le ha tenute lì, anche solo per un istante. Quella croce gloriosa, e l’amore debordante che essa significa, ha avuto il potere di farle incontrare. Questo mostra quanto bisogno abbiamo del “dono della pace”, che non possiamo darci da soli.

Tuttavia quella croce ha avuto bisogno delle mani delle due donne per stare in piedi; e avrà poi bisogno della loro umanità per farsi concreta esperienza di fraternità: dei loro sguardi, che accettano di alzarsi, di guardarsi in verità, di rispettarsi, di trasformarsi in cura. Così è anche per noi.

Allora la forza della resurrezione, il dono che viene dall’altro, avanza nelle nostre vite» [Comunità monastica di Bose, Pasqua 2022].