Te Deum laudamus

Omelia di fine anno civile nella solennità di Maria Madre di Dio - Cattedrale di Belluno
31-12-2021

Nm 6,22-27; Sal 66 (67); Gal 4,4-7; Lc 2,16-21

Vorrei dirvi, questa sera, una parola bella sulla Chiesa; sulla Chiesa di oggi così “umana”, perché ha attraversato tante fragilità e ha conosciuto anche il peccato che l’ha lacerata, ma essa è ancora il popolo di Dio pellegrino, è ancora la manciata di discepoli che non lasciano Gesù, è come il pianto di Maria di Màgdala per la paura di aver perduto il Maestro che predispone il suo estasiato stupore quando Lui, in altre sembianze, la chiama per nome. Questa Chiesa così umana, in questo tormentato anno che stasera si chiude, ha saputo riconoscere Gesù – «il bambino adagiato nella mangiatoia» del vangelo appena proclamato – ha saputo attenderlo ancora e protendersi a Lui come maestro di vita, come vangelo che salva, come speranza del mondo.

Mi pare che questa parola bella sulla Chiesa, sia per noi anche l’annuncio che Albino Luciani sarà proclamato beato dalla Chiesa stessa. Il volto di papa Giovanni Paolo I riflette per noi le tante volte in cui Gesù, nel suo camminare e incontrare uomini e donne o nel suo sostare con i discepoli, ha pronunciato come annuncio, come benedizione e come promessa: «Beati voi… beato/a te…».

Il Salmo 66, che abbiamo pregato, ci ha trasmesso parole di fede e di speranza. La Chiesa, nella sua fragilità e nelle sue prove, è in quelle parole. Oggi le sta pronunciando con cuore  appassionato e aperto. Lungo tutto quest’anno ad esse ha fatto eco papa Francesco, sollecitandoci senza sosta ad un “ripensamento d’amore” specialmente verso i poveri e gli immigrati. Ecco le parole sulle labbra benedicenti della Chiesa: «Dio abbia pietà di noi e ci benedica, su di noi faccia splendere il suo volto; perché si conosca sulla terra la tua via, la tua salvezza fra tutte le genti».

Il «bambino adagiato sulla mangiatoia», visto dai pastori che se ne tornarono al loro gregge «glorificando e lodando Dio», è la carne di queste parole, è il frutto che esse generano e fanno crescere. Questa sera siamo qui perché Dio, anche lungo il tempo di questo anno, ha avuto pietà di noi e ci ha benedetti, non avendo mai pensato di castigarci o di abbandonarci; perché ha fatto splendere il suo volto sulle nostre ferite, avendole sempre curate con “olio della consolazione” e “vino della speranza”, come il Samaritano lungo la strada impervia ed esposta a pericoli che va da Gerusalemme a Gerico.

Siamo qui nella gioia di aver compreso più profondamente che c’è una via di salvezza sulla terra da far conoscere fra tutte le genti.

Il nostro Te Deum Laudamus di questo fine d’anno è fidarci della benedizione del Signore fino al punto di circoscrivere dissapori, inimicizie, rancori, rivendicazioni, odio, divisioni, sospetti e scomuniche vicendevoli, ingiurie…

È necessario nel rendere grazie circoscrivere tutto questo che ci porterebbe al peccato perché esso non imperi su di noi fino al punto – come afferma Paolo nella lettera ai Galati – di farci “schiavi”.

Questa sera esprimere gratitudine a Dio è diventare ancor più figli, è ritrovare quella condizione originaria di uomini e donne che scoprono di essere «eredi per grazia di Dio».

Sì, come Chiesa abbiamo ancora “parole belle” da pronunciare e da comunicare: sgorgano da un cuore riconoscente. E sono parole di promessa, di liberazione, di fraternità che oseremo di nuovo dare. Sono le parole pregate nel salmo: «Ti lodino i popoli, o Dio. Ti lodino i popoli tutti. Ci benedica Dio e lo temano tutti i confini della terra».