A cura di don Ezio Del Favero

137 – Il Pozzo delle Viole

...pensa al cuore in fiamme della mia giovane padrona, pieno di amore per l’uomo che le ha salvato la vita...

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Fra due montagne, dove si estendeva la valle di Shimizutani, si trovava il Pozzo delle Viole. In primavera l’erba diventava verde smeraldo, mentre il muschio cresceva lussureggiante sulle rocce. Alla fine di aprile grandi chiazze di violette selvatiche d’intenso colore viola comparivano nelle zone più basse della valle, mentre sulle pendici azalee rosa e scarlatte crescevano in modo indescrivibile. Un giorno, una ragazza di nome Shingé, accompagnata da quattro servitrici, si avviò verso quel luogo in cerca di violette, i suoi fiori preferiti.

Le ragazze, con i loro cestini di bambù, gareggiavano per riempirli componendo il cesto più bello. Ridendo e scherzando si diressero verso il Pozzo delle Viole. Shingé arrivò per prima e, vedendo un’enorme quantità di viole profumatissime, cominciò a raccoglierle prima delle altre ragazze. Ma non appena distese la mano per afferrarle, un grande serpente di montagna alzò la testa dal suo rifugio in ombra, spaventando Shingé che svenne sul prato. Quando le servitrici giunsero presso il Pozzo, videro il serpente intorno alla testa di Shingé e la pensarono morta. Scacciarono il serpente e cercarono in tutti i modi di rianimarla, ma senza successo.

A un tratto, le ragazze udirono una voce: «Non siate così tristi! Sono un dottore del villaggio vicino e sono appena stato a visitare un paziente all’estremità della valle. Sono in grado di aiutarvi e di salvare la vita della vostra padrona, se me lo permettete. Datele questa medicina, mentre io cerco e uccido il serpente». Tolse dalla tasca un piccolo astuccio e versò della polvere bianca in un pezzo di carta. Una delle servitrici spinse a forza la medicina nella bocca della padrona e poco dopo questa si riprese.

Poco dopo tornò il dottore, con il serpente morto su di un bastone. «È una fortuna che sia arrivato, perché questo serpente è molto velenoso e la vostra padrona sarebbe morta se non fossi arrivato e non le avessi dato la medicina».

Udendo la voce del giovane, Shingé domandò: «Per favore, signore, posso chiederti con chi sono in debito per avermi salvato la vita?». Il dottore non rispose, ma si limitò a sorridere e, dopo un inchino, se ne andò in silenzio.

I ricchi genitori di Shingé furono molto riconoscenti per la guarigione della figlia, ma il nome del bel giovane restava un mistero per tutti, tranne che per una delle servitrici. Per quattro giorni Shingé si sentì abbastanza bene, ma il quinto giorno si mise a letto dicendo di essere ammalata. Non riusciva a dormire e non voleva parlare, ma solo pensare e pensare. Né il padre né la madre furono in grado di capire di che malattia si trattasse. Furono chiamati molti dottori, ma nessuno di loro riuscì a dire di che cosa si trattava.

Un giorno, una delle servitrici chiese un colloquio con il padre di Shingé. Egli non aveva l’abitudine di ascoltare le opinioni delle serve, ma sapendo che la ragazza era fedele alla sua padrona e la amava, acconsentì ad ascoltarla.

«Signore, la mia padrona non sta soffrendo di una malattia curabile con le medicine. E nemmeno ci sono dottori così esperti. Ma ce n’è uno che certamente potrebbe curarla, perché la sua malattia viene dal cuore. È per amore di lui che il cuore della padrona soffre dal giorno in cui proprio lui le ha salvato la vita dal morso del serpente». «Come si chiama quel dottore?». «Si chiama Yoshisawa ed è un bellissimo giovane dai modi molto cortesi. Purtroppo è di bassi natali. Ti prego, signore, pensa al cuore in fiamme della mia giovane padrona, pieno di amore per l’uomo che le ha salvato la vita e non meravigliartene, poiché lui è molto bello e ha i modi di un prode Samurai! L’unica cura per vostra figlia è permetterle di sposare colui che ama».

Il signore s’informò sul giovane dottore e dopo dieci giorni disse a Shingé: «Mia dolce figlia, ho svolto indagini accurate sul dottor Yoshisawa, il tuo innamorato. Per quanto profondamente mi addolori dirtelo, è impossibile che io acconsenta al tuo matrimonio con un uomo per quanto buono ma di estrazione così bassa, nato nella classe degli Eta. Non voglio più sentir parlare di questo. Un simile contratto sarebbe impossibile per la nostra famiglia».

La ragazza s’inchinò di fronte al padre e ritornò nella sua stanza dove pianse amaramente sino al mattino seguente, quando fra lo stupore di tutti scomparve. La cercarono ovunque e, dopo tre giorni, il suo corpo fu trovato nel Pozzo delle Viole, insieme al corpo del giovane Yoshisawa…


La parabola – di origine giapponese – termina precisando: «Ancora oggi, nelle notti tempestose, si vede lo spirito di Shingé volare sul pozzo e si ode in tutta la valle un giovane piangere disperato». Per Charles Baudelaire l’amore è come una rosa: sa essere magia, dolcezza, carezza, ma può anche essere crudele, pungere, far sanguinare…