Quando il Grande Spirito Creatore, che abitava in Cielo, separò la terra dal firmamento, convocò tutti gli animali terrestri in cima alla montagna per attribuire a ciascuno il proprio lavoro.
Cominciò dall’ape, che amava particolarmente: «Tu sei abile e paziente: il tuo compito sarà quello di tessere stuoie e nessuno potrà eguagliarti. Così diventerai ricca». L’ape si mise al lavoro e si arricchì in fretta. La nuova occupazione non gli impedì di continuare a fabbricare il dolce miele. Economa e prudente, avrebbe voluto immagazzinarne un po’. Ritornò dal Creatore sul monte per chiedere consiglio.
Il Grande Spirito le disse: «Siccome sai tessere belle stuoie, costruisciti una casa in cui potrai deporre le uova ed immagazzinare il miele in riserva. Costruiscila con piccole cellette: una parte servirà come abitazione e l’altra come magazzino».
Soddisfatta del consiglio, l’ape ritornò nella foresta e si mise al lavoro. Scelse la cavità di un tronco e cominciò a costruire un alveare. Lo tesse come faceva con le stuoie. Con la complicità del Creatore le cellette s’indurivano sotto i suoi occhi e diventavano cera. Poi andò a visitare i suoi amici fiori. Costoro le diedero il nettare, che, deposto nelle cellette dell’alveare, diventava miele. Quando il magazzino fu riempito l’ape si rimise a tessere le stuoie.
Come capita spesso, purtroppo, la prosperità di quella creatura creò invidie e poi odio. Fu così che l’ape si accorse che, quando andava a far visita ai fiori, qualcuno le rubava le stuoie e, quando era occupata alla fabbricazione delle stuoie, le rubava il miele.
Ritornò in cima alla montagna per farsi consolare e chiedere consigli al Creatore. Il Grande Spirito rifiutò stavolta d’intervenire: «Non ne posso più di risolvere i problemi delle creature, devi imparare a difenderti da sola!». L’ape ritornò nella foresta, scontenta, chiedendosi che cosa avrebbe potuto fare per difendersi. Si scoraggiò quando vide che le avevano rubato tutto.
Ritornò sul monte e disse al Grande Spirito: «È inutile che mi rimetta al lavoro. D’ora in poi incrocerò le braccia!». Il Creatore, che ci teneva al fatto che ci fosse del miele sulla terra, le disse: «Rimettiti al lavoro. Ti proteggerò dandoti un mezzo di difesa molto efficace, che farà fuggire i ladri senza ucciderli; un’arma che procurerà delle punture dolorose per scoraggiare i malintenzionati a toglierti in maniera disonesta il frutto del tuo lavoro. D’ora in poi ti occuperai solo del miele, perché non è possibile essere contemporaneamente su vari fronti!».
Fu così che l’ape, munita di un pungiglione, ritornò nella foresta. Non avendo più la preoccupazione delle stuoie, perfezionò il lavoro del miele e divenne la Regina dell’alveare.
La parabola – raccolta in Costa d’Avorio – è un racconto eziologico, che spiega l’utilità delle api per la produzione del miele e della cera e il possibile motivo per cui esse siano munite di un pungiglione.
Una leggenda egizia racconta: «In seguito a un terribile disastro, gli dèi, gli uomini e gli animali piansero sulla terra. Anche Ra, il dio sole, piangeva e le sue lacrime si trasformarono in api toccando la terra. Grazie alle api, apparvero anche i fiori e gli alberi e il mondo fu migliore».
Un’altra leggenda africana parla di un tempo antico in cui gli uomini litigavano incessantemente e non si erano accordati e organizzati. Si dice allora che gli Spiriti divini, per vendicarsi e per ridicolizzarli, fecero delle api e dell’alveare il modello da seguire per gli uomini. Fu così che non scelsero un re, ma una regina per governare sia l’alveare che gli umani.
Le strette relazioni tra l’uomo e l’ape spiegano in parte la sua presenza nella tradizione mitologica. Ma il fascino che l’ape esercita deriva anche dalle sue caratteristiche proprie, soprattutto sul piano dell’esistenza umana: è una creatura sociale, la cui vita si iscrive in quella della collettività a cui appartiene; è una creatura guerriera, che sa lottare per difendere il suo alveare, le sue risorse e i suoi piccoli; è una creatura la cui comunità è organizzata gerarchicamente attorno a una sovrana. Molto presto, infatti, notarono che uno degli animali della comunità era più grande e più importante, che occupava un posto centrale nell’organizzazione della vita collettiva e che gli altri insetti gli sembravano completamente devoti. Videro in esso la regina dell’alveare. D’altra parte, la regina non punge, non è combattente, le api di una stessa colonia non si picchiano tra loro. Così l’alveare apparve nella tradizione mitologica come un modello di “buon governo” e la regina come quello del “buon sovrano”.
Illustrazione da Ezio del Favero, Il granaio del povero, Longarone 1996.