A cura di don Ezio Del Favero

184 – L’ape e lo Spirito Creatore

Il Creatore ci teneva al fatto che ci fosse del miele sulla terra...

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Quando il Grande Spirito Creatore, che abitava in Cielo, separò la terra dal firmamento, convocò tutti gli animali terrestri in cima alla montagna per attribuire a ciascuno il proprio lavoro.

Cominciò dall’ape, che amava particolarmente: «Tu sei abile e paziente: il tuo compito sarà quello di tessere stuoie e nessuno potrà eguagliarti. Così diventerai ricca». L’ape si mise al lavoro e si arricchì in fretta. La nuova occupazione non gli impedì di continuare a fabbricare il dolce miele. Economa e prudente, avrebbe voluto immagazzinarne un po’. Ritornò dal Creatore sul monte per chiedere consiglio.

Il Grande Spirito le disse: «Siccome sai tessere belle stuoie, costruisciti una casa in cui potrai deporre le uova ed immagazzinare il miele in riserva. Costruiscila con piccole cellette: una parte servirà come abitazione e l’altra come magazzino».

Soddisfatta del consiglio, l’ape ritornò nella foresta e si mise al lavoro. Scelse la cavità di un tronco e cominciò a costruire un alveare. Lo tesse come faceva con le stuoie. Con la complicità del Creatore le cellette s’indurivano sotto i suoi occhi e diventavano cera. Poi andò a visitare i suoi amici fiori. Costoro le diedero il nettare, che, deposto nelle cellette dell’alveare, diventava miele. Quando il magazzino fu riempito l’ape si rimise a tessere le stuoie.

Come capita spesso, purtroppo, la prosperità di quella creatura creò invidie e poi odio. Fu così che l’ape si accorse che, quando andava a far visita ai fiori, qualcuno le rubava le stuoie e, quando era occupata alla fabbricazione delle stuoie, le rubava il miele.

Ritornò in cima alla montagna per farsi consolare e chiedere consigli al Creatore. Il Grande Spirito rifiutò stavolta d’intervenire: «Non ne posso più di risolvere i problemi delle creature, devi imparare a difenderti da sola!». L’ape ritornò nella foresta, scontenta, chiedendosi che cosa avrebbe potuto fare per difendersi. Si scoraggiò quando vide che le avevano rubato tutto.

Ritornò sul monte e disse al Grande Spirito: «È inutile che mi rimetta al lavoro. D’ora in poi incrocerò le braccia!». Il Creatore, che ci teneva al fatto che ci fosse del miele sulla terra, le disse: «Rimettiti al lavoro. Ti proteggerò dandoti un mezzo di difesa molto efficace, che farà fuggire i ladri senza ucciderli; un’arma che procurerà delle punture dolorose per scoraggiare i malintenzionati a toglierti in maniera disonesta il frutto del tuo lavoro. D’ora in poi ti occuperai solo del miele, perché non è possibile essere contemporaneamente su vari fronti!».

Fu così che l’ape, munita di un pungiglione, ritornò nella foresta. Non avendo più la preoccupazione delle stuoie, perfezionò il lavoro del miele e divenne la Regina dell’alveare.


La parabola – raccolta in Costa d’Avorio – è un racconto eziologico, che spiega l’utilità delle api per la produzione del miele e della cera e il possibile motivo per cui esse siano munite di un pungiglione.

Una leggenda egizia racconta: «In seguito a un terribile disastro, gli dèi, gli uomini e gli animali piansero sulla terra. Anche Ra, il dio sole, piangeva e le sue lacrime si trasformarono in api toccando la terra. Grazie alle api, apparvero anche i fiori e gli alberi e il mondo fu migliore».

Un’altra leggenda africana parla di un tempo antico in cui gli uomini litigavano incessantemente e non si erano accordati e organizzati. Si dice allora che gli Spiriti divini, per vendicarsi e per ridicolizzarli, fecero delle api e dell’alveare il modello da seguire per gli uomini. Fu così che non scelsero un re, ma una regina per governare sia l’alveare che gli umani.

Le strette relazioni tra l’uomo e l’ape spiegano in parte la sua presenza nella tradizione mitologica. Ma il fascino che l’ape esercita deriva anche dalle sue caratteristiche proprie, soprattutto sul piano dell’esistenza umana: è una creatura sociale, la cui vita si iscrive in quella della collettività a cui appartiene; è una creatura guerriera, che sa lottare per difendere il suo alveare, le sue risorse e i suoi piccoli; è una creatura la cui comunità è organizzata gerarchicamente attorno a una sovrana. Molto presto, infatti, notarono che uno degli animali della comunità era più grande e più importante, che occupava un posto centrale nell’organizzazione della vita collettiva e che gli altri insetti gli sembravano completamente devoti. Videro in esso la regina dell’alveare. D’altra parte, la regina non punge, non è combattente, le api di una stessa colonia non si picchiano tra loro. Così l’alveare apparve nella tradizione mitologica come un modello di “buon governo” e la regina come quello del “buon sovrano”.

 

Illustrazione da Ezio del Favero, Il granaio del povero, Longarone 1996.