A cura di don Ezio Del Favero

185 – L’orfanella e il nome segreto

«Ecco la futura sposa, scelta, predestinata e designata dallo Spirito protettore del mio figliolo»

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Sul territorio del monte Agou esisteva un Re, saggio, ricco, ma sfortunato: i suoi figli morivano tutti in tenera età. Così, decise di contrastare il destino. Pensò di tenere segreto il nome dell’ultimo nato, sino alla maggiore età; lo Spirito della morte non avrebbe potuto riconoscerlo e dunque impadronirsi di lui!

In effetti, il principe crebbe e divenne adulto. Il Re propose: «Permetterò a mio figlio di sposare la ragazza capace di indovinarne il nome. Lo Spirito protettore di mio figlio rivelerà alla predestinata il nome segreto».

Tutto il regno si mise in subbuglio. I padri regalarono le migliori stoffe alle proprie figlie e corsero dagli stregoni per consultarli e guadagnarne i favori; le madri le pettinarono e le truccarono come non mai, nel tentativo di conquistare il principe.

In un villaggio lontano viveva un’orfanella; la matrigna e le sorellastre la maltrattavano, come la più infima delle serve. La donna, come tutte le madri di quel regno, rivestì le figlie delle migliori stoffe, le pettinò e le rese belle al fine di inviarle al palazzo del principe, sicura che l’una o l’altra sarebbe stata scelta. La matrigna disse all’orfanella, per prendersi gioco di lei: «Puoi partire anche tu, dopo essere andata alla sorgente a prendere l’acqua, aver preparato la cena, aver separato i grani di mais dai granelli di sabbia, aver setacciato i sacchi di miglio, ripulito la casa e il cortile…».

Le sorelle partirono in direzione del palazzo. E la povera orfanella eseguì le consegne, sino all’alba; con i pochi grani di mais raccolti in terra, preparò alcuni dolcetti da donare al principe, indossò l’unico tessuto in suo possesso, lacero ma pulito, e si mise in cammino.

Lungo la strada, la ragazza incontrò un uomo anziano, malato e scarno, che implorava: «Povero me! Sono così debole che non riesco a reggermi in piedi!». Rivolgendosi all’orfanella, supplicò: «Piccola cara, dammi, ti prego, un po’ di cibo!». Il giorno precedente, l’uomo aveva incontrato le sorellastre. Costoro, in risposta alle sue suppliche, lo avevano deriso e insultato: «Sporco vecchio, ossa-ambulanti! Come osi rivolgere la parola alla futura regina? Vattene!».

Al contrario, la buona orfanella si lasciò commuovere e diede all’anziano i dolcetti di mais che aveva preparato per il principe. «In fondo – pensò – il figlio del Re non ha bisogno del mio povero cibo!». «Nonno, ho soltanto queste misere palline di mais, ma te le do con il cuore!». L’uomo prese i dolcetti e disse commosso: «Cara piccola, non so proprio come ringraziarti! Avvicinati». La ragazza si avvicinò e il vecchio le sussurrò all’orecchio il nome del principe.

«Dimmi, nonno, come fai a conoscere il nome segreto?». L’anziano, con un sorriso, replicò: «Fidati! Parti, che il principe ti aspetta!». Quel vecchio, in realtà, era lo Spirito protettore del figlio del re, ma l’orfanella non poteva saperlo.

Lungo il cammino, la ragazza ripeté tra sé come un mantra: «Ketowoglo, Ketowoglo, Ketowoglo», per non dimenticare il nome del principe. Lo fece fino a scorgere il monte Agou, sotto il quale si ergeva il palazzo del Re. Sul cortile del palazzo vide le molte ragazze che aspettavano di essere ricevute e interrogate. Alcune si misero a deriderla e a insultarla: «Stracciona! Non vedi quanto sei miserabile? Dove credi di andare, povera illusa? Il principe ti scaccerà! Come osi mescolarti a noi, belle ed eleganti? Povera te!».

Ma il Re, che era saggio e non si lasciava condizionare dalle apparenze, volle interrogare anche quella ragazza. L’orfanella rispose timidamente: «Il principe si chiama Ketowoglo». Al ché il Re disse ad alta voce: «Ecco la futura sposa, scelta, predestinata e designata dallo Spirito protettore del mio figliolo».

Fu così che una povera orfanella, grazie alla sua dedizione agli altri, divenne Regina.


La parabola – raccolta in Togo – richiama la storia di Cenerentola (dei fratelli Grimm), probabilmente originatasi dal racconto di Rodopi, dell’antico Egitto. 

Rodopi (“guance di rosa”), bellissima schiava di stirpe tracia, era costretta a subire maltrattamenti dalle altre schiave per il suo status di straniera e la sua carnagione chiara. Un giorno, vedendola danzare da sola, il padrone egizio le donò un paio di pantofole di oro rosso, inasprendo ancor più il comportamento delle schiave. Un giorno, il Faraone invitò il popolo a una festa da lui offerta nella città di Menfi. Le altre schiave impedirono la partecipazione di Rodopi, ordinandole di completare una lunga lista di lavori domestici. Mentre Rodopi era al fiume a fare il bucato, Horus, sotto le sembianze di un falcone, le rubò una pantofola, per poi lasciarla cadere in grembo al Faraone. Questi, intuendo il messaggio di Horus, in seguito avrebbe sposato la proprietaria della pantofola…

Illustrazione di Mach.