A cura di don Ezio Del Favero

194 – I discendenti del Sole

Accarezzata dai raggi del sole, la terra cominciò a produrre fiori e frutti per gli uomini

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In quel tempo, Viracocha il Creatore guardò la terra tutta spoglia e avvolta in un’oscurità impenetrabile. Le uniche creature umane, Taguapac con la sua donna e i loro figli, avevano trovato rifugio sotto una roccia nel cuore delle Ande. Conducevano una vita di stenti, perché la terra non produceva frutti. Il cuore del dio si mosse a compassione nel vedere come vivevano quelle sue creature e decise di intervenire.

Viracocha chiamò accanto a sé Inti (l’uccello sacro) e Titi (il puma dagli occhi penetranti). Disse a Inti: «Volgi il tuo sguardo verso la terra e fa’ in modo che su di essa tenebre e luce si avvicendino con tempi regolari!». L’uccello sacro spalancò gli occhi, uno di una luce dorata e l’altro di un blu intenso, e subito una faccia della terra venne investita da una luce vivissima, mentre l’altra rimase immersa nel buio.

Poi il Creatore si rivolse a Titi: «Punta lo sguardo verso la parte oscura della terra e incendia gli astri sospesi nel cielo!». Il puma rivolse il suo sguardo verso le stelle disseminate nel cielo ed esse si accesero palpitanti.

Accarezzata dai raggi del sole, la terra cominciò a produrre fiori e frutti per gli uomini. Dal fondo del loro cuore si fece strada, per la prima volta, la riconoscenza verso il Creatore. Viracocha si commosse di fronte alla loro tenerezza e le sue lacrime, cadendo copiose sulle cime dei monti, formarono sul fondovalle un piccolo lago, cui fu dato il nome di “Titicaca” (puma di pietra).

Passarono gli anni e gli uomini andavano moltiplicandosi. Con il trascorrere del tempo, distratti da mille interessi, si dimenticarono della bontà del Creatore. Le notti erano animate da danze e canti, non come inni di lode ma sotto forma di musiche e balli sfrenati che non aiutavano certo le anime ad elevarsi verso il dio. Gli sciamani tentavano di richiamare l’attenzione a una vita più ordinata: «Il vostro modo di vivere offende gli dèi. Convertitevi, se non volete finire distrutti dal fuoco e dalle acque!». Ma nessuno li badava. Solo pochi, criticati dagli altri, decisero di cambiar vita e si ritirarono sul monte la cui cima si elevava in mezzo al Titicaca.

Un giorno, verso il tramonto, l’ombra di una piccola nube rossa oscurò il sole. All’inizio nessuno si preoccupò, ma poco a poco tutto il cielo fu coperto da una coltre di minacciose nubi rosse. Il sole era tramontato, ma una luce sinistra continuava a illuminare le case e le campagne. Sui volti delle persone si dipinse il terrore: gli dèi stavano per vendicarsi della loro scarsa pietà. D’un tratto la terra tremò paurosamente; le case crollarono e violenti scrosci d’acqua, misti a una pioggia di fuoco, si abbatterono sul suolo distruggendo ogni cosa.

Il giorno seguente, il piccolo lago si era ingrossato a dismisura e al centro emergeva un’isola, dove i sopravvissuti avevano trovato rifugio all’interno di alcune grotte. Con sgomento osservavano dalla cima del monte quanto il terremoto, le piogge di fuoco e il diluvio avevano compiuto: sulle rive del lago e nella vasta pianura non si vedeva più alcun segno di vita. Volendo ringraziare il dio che li aveva risparmiati dalla sua ira, innalzarono a Viracocha preghiere di ringraziamento e inni di lode. Chiamarono il loro rifugio “Isola del Sole” e si misero a scegliere i luoghi più adatti per le abitazioni e i campi. Ancora una volta la misericordia di Viracocha venne loro incontro, facendo apparire un bastone d’oro: «Ricevete questa verga. Là dove penetrerà il suolo, fermatevi: quella è terra feconda».

Il piccolo gruppo di uomini e donne si mise in cammino. Ogni tanto lo sciamano puntava la verga d’oro contro il terreno, ma questo rimaneva impenetrabile. In una vasta vallata finalmente lo sciamano riuscì a piantare la verga nel terreno. I presenti urlarono di gioia: il Creatore aveva esaudito le loro preghiere! Lì furono costruite nuove abitazioni e coltivati fertili campi. Lì spuntarono i primi virgulti di mais e di fagioli, mentre le piante di frutta diventavano a ogni stagione sempre più robuste. In quella valle si sviluppò la città di Cuzco, “Ombelico del mondo”. Vennero costruiti canali per l’irrigazione e fabbriche di mattoni e di calzari; furono addomesticati i lama e le donne divennero sempre più abili nell’arte della tessitura. Improvvisati artisti modellarono vasi e coppe, dipingendoli con sgargianti colori.

Ricordando le colpe del passato, la gente viveva nel timore di offendere gli dèi. A essi offriva le primizie dei campi e ogni sorta di sacrifici; i bambini venivano educati ad adorare il Sole, la Luna, gli dèi delle tempeste e dei raccolti. Con un calendario che abbracciava le quattro stagioni, furono fissate le commemorazioni e le feste.

I Discendenti del Sole esprimevano così la loro gratitudine verso il buon Creatore.


La parabola – raccolta tra gli Incas (Perù) – spiega l’origine del popolo Inca, dell’isola del Sole e della capitale Cuzco. Una cultura, quella degli Incas, radicata nella fede negli dèi, forze portatrici del bene e del male. Essi governavano le leggi della natura: la luce, le tempeste, la fertilità della terra, la malattia e la morte. Per cui andavano mitigati con preghiere e sacrifici…