A cura di don Ezio Del Favero

196 – Il pappagallo e il ricco mercante

Nella gabbia c’era un volatile raro, che portava sul corpo tutti i colori del mondo

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Un ricco mercante girava il mondo alla ricerca degli oggetti più rari e preziosi. Il suo magazzino era il più fornito del grande bazar, pieno dei più bei tappeti, vasi, gioielli e scrigni. Era continuamente onorato dalla clientela dei notabili della città: il Gran Visir e persino il Sultano erano soliti chiamarlo perché presentasse nei loro palazzi le sue bellissime acquisizioni. I suoi affari erano così prosperi che fece costruire un palazzo fuori dalla medina vicino a quello del Sultano.

Ma ciò che era più prezioso per il mercante era un tesoro vivente, che custodiva gelosamente in un piccolo padiglione allestito al centro del suo giardino persiano, una evocazione del paradiso terrestre. E in quel padiglione vi era un tavolo intarsiato di avorio ed ebano sul quale era posta una gabbia d’oro. E nella gabbia c’era un volatile raro, un pappagallo, che portava sul corpo tutti i colori del mondo. Inoltre, quel volatile, che proveniva dall’India, conosceva tutte le lingue del mondo.

Il mercante si recava raramente nel suo magazzino, che affidava ai suoi devoti venditori, per prendersi cura del suo prezioso volatile. Usciva a malapena dal suo giardino, se non per i suoi viaggi alla ricerca di nuove merci. Non c’era giorno in cui non si sedesse nel giardino ad ascoltare il pappagallo parlare in tutte le lingue che conosceva. E non passava giorno che il volatile smettesse improvvisamente di cantare per chiedergli qualcosa, ogni volta la stessa: «Ti prego, mio buon padrone! Tu dici che io sono il tuo tesoro più prezioso, allora potresti concedermi un favore? Concedimi la libertà!». Ma era troppo per il mercante. Ogni volta che lo sentiva, si arrabbiava: «Pensi forse che lascerei che il mio tesoro volasse via? Il tuo posto è qui. Non stai bene qui? Hai i semi di girasole più carnosi, il miglio più fresco. Fai il bagno nel cristallo, ti disseti con acqua di rugiada, sei al sicuro dagli sparvieri».

Un giorno, il mercante si stava preparando a partire per un lungo viaggio. Così si recò dal pappagallo e gli disse: «Domani non verrò a sedermi qui per ascoltarti. Sarò lontano e ci vorranno diverse settimane per tornare. Ma non ti dimenticherò. Il paese in cui sto andando lo conosci bene, è il posto in cui sei nato! Quindi, se vuoi, ti porterò qualcosa. Dimmi che cosa ti renderebbe felice». «Stai andando nel mio paese? Quindi, per favore, riportami la libertà!». Il mercante si arrabbiò ancora una volta: «Chiedimi tutto quello che vuoi, ma quella non posso concedertela».
Per una volta, il volatile, invece di tacere, gli disse: «Allora voglio che tu vada nella foresta dove sono nato tra le montagne. Nel profondo di quella foresta c’è un albero bianco, con migliaia di uccelli di mille colori come me. Sono i miei fratelli. Se vuoi davvero farmi piacere, vai a riferire che sono nel tuo palazzo, che sto bene, che penso spesso a loro e che mi piacerebbe avere un po’ di notizie da parte loro». «Va bene!», disse il mercante.

Il giorno dopo, il mercante prese un tartan per attraversare i mari e poi si unì a una carovana per attraversare il deserto. Finalmente, attraversati vari paesi, arrivò in India per i suoi affari. Finiti questi, chiese di essere condotto nella foresta tra le montagne. Non fu una spedizione facile. Dopo un lungo cammino, il mercante vide l’albero bianco. E in quell’albero c’erano migliaia di volatili dai mille colori, proprio come il suo. Si fermò ai piedi dell’albero e urlò: «Uno dei vostri fratelli è la mia gioia, il mio tesoro e vive nel mio palazzo. Mi manda a dirvi che è in buona salute, che pensa spesso a voi e che gli piacerebbe avere vostre notizie». Uno degli uccelli, da lontano, chiese: «Perché non è venuto lui stesso a dirci questo?». «Perché lo tengo in una gabbia dorata, non gli manca nulla, ha cibo in abbondanza e acqua di rugiada ogni mattina». Al che l’uccello cadde dal ramo come se fosse stato colpito da qualcosa. Allora il mercante si turbò e si disse: «È colpa mia: questo pappagallo non poteva sopportare di sentire che suo fratello fosse prigioniero. Sono state le mie parole a ucciderlo!».

Il mercante tornò a casa. Gli ci vollero diverse settimane di viaggio e, quando arrivò al suo palazzo, la prima cosa che fece fu correre in giardino. Il suo prezioso volatile era ancora lì, vivo. «Buongiorno, mio buon padrone! Hai fatto buon viaggio? Quali sono le novità?». Il mercante: «Ho paura di portarti notizie tristi!» e iniziò a raccontare cosa era successo nella foresta. Ma appena ebbe finito, il pappagallo cadde sul fondo della gabbia, come suo fratello in India! Allora il mercante si precipitò avanti, aprì la gabbia e prese l’uccello esanime. Depose il corpo del suo tesoro accanto a un albero e si allontanò piangendo. A un certo punto vide l’uccello dai mille colori svegliarsi, saltare, volare via e atterrare sull’albero più grande del giardino! «Grazie! La tua notizia è stata una buona notizia per me! L’uccello che avete visto morire laggiù nella foresta non è morto come pensavate! Stava fingendo: stava semplicemente dicendo cosa avrei dovuto fare per riconquistare la libertà»…


La parabola – ideata dall’autore persiano Rumi Jalal-ud-Din (1207-1273) – termina precisando: «Il mercante guardò il suo tesoro scomparire in lontananza. Il suo volto però fu illuminato all’improvviso da un nuovo sorriso».