In quel tempo, un silenzio incredibile avvolgeva l’universo: tutto era calmo e immobile. Non c’erano pietre, alberi, né pesci né uccelli. Solo il cielo esisteva e il mare immenso. Non si scorgevano foreste, né monti. Nessun rumore, né fruscio, né un piccolo suono. Niente. Infinito si estendeva il cielo e, sotto di lui, il mare, immobile e silenzioso. Nell’oscurità, nella notte senza tempo, non c’era nulla che si ergesse in piedi, nulla che fosse dotato d’un soffio di vita.
Solo esistevano Gucumatz e Hurakan. Il primo era il dio Costruttore, il Padre e la Madre che splendono sullo specchio immenso delle acque, il dio avvolto nel manto di piume azzurre, come ben dice il suo nome. “Nostro Signore il Serpente, dalle piume di Quetzal”, la divinità suprema, che riunisce in sé il principio maschile e femminile, quindi un dio duplice. Il secondo, Hurakan, “il Lampo”, il “Cuore del cielo”. Questi e il dio duplice erano la Triade che regnava negli spazi infiniti del cielo.
Ma ecco che gli dèi decisero di incontrarsi. Tra loro si scambiarono i pensieri e le parole; decisero di dare inizio alla vita e alla luce e concordarono chi, fra loro, doveva essere il Conservatore e il Sostenitore, colui cioè che avrebbe prodotto il cibo.
Così, dall’oscurità di una notte impenetrabile nacquero la terra e l’universo tutto. L’alba apparve per la prima volta all’estremità del mondo, quando la voce possente degli dèi ruppe il silenzio che durava da sempre: «Si riempia l’abisso. Le acque si ritirino nei loro confini, emergano le terre e si consolidino». «Terra!», dissero gli dèi e in un istante le terre emersero dalle acque. Dapprima come polvere, come una brina di nuvole; poi, man mano, sempre più solide: da un amalgama confuso e fangoso ben presto si formarono le pianure, emersero colline e montagne, che subito vennero rivestite da un mantello di erbe e di boschi. Pini, cipressi e ogni specie di albero ricoprì la terra.
Gli dèi fissarono il tempo della luce e delle tenebre: stabilirono quando sarebbe apparsa l’alba e quando il sole avrebbe dovuto nascondersi all’orizzonte. Spuntarono i fiori a colorare il creato. L’animo del dio Gucumatz era colmo di gioia. «Quello che abbiamo creato però non è tutto… sarà portato a compimento», precisò la Triade.
Dalle montagne ruscelli e torrenti scendevano allegramente, mentre nelle pianure, lenti e sornioni, i fiumi disegnavano ampie anse nel loro pigro viaggio verso il mare.
Dopo aver meditato, gli dèi decisero: «Creiamo i guardiani dei boschi e i geni della montagna. Rompiamo il silenzio che regna sulla terra, diamo vita a creature viventi che cantino le nostre lodi». Così, animali d’ogni specie apparvero all’improvviso per abitare la terra: strisciavano, volavano, guizzavano veloci nelle acque dei fiumi e del mare. Di tutti gli dèi stabilirono le dimore: «Voi, cervi e stambecchi, abiterete tra le erbe e gli sterpi, lungo i corsi dei fiumi e nelle gole profonde. Camminerete sulle quattro zampe e vi moltiplicherete». «E voi uccelli, piccoli e grandi, vivrete tra i rami e le liane; lì costruirete i vostri nidi e vi moltiplicherete». Così i volatili di tutta la terra presero dimora nei boschi e nelle foreste. Tigri e buoi, bisce e serpenti, puma e giaguari e molti altri animali si sparsero in ogni angolo del mondo. Risuonavano alle loro orecchie gli ammonimenti degli dèi: «Ognuno si esprima secondo le proprie capacità: gorgheggiate, ululate, fate sentire la vostra voce. Ma soprattutto parlate agli dèi che vi hanno creato: invocateli, adorateli con la vostra preghiera». La terra si riempi di strani suoni; nella notte le foreste si animarono di grida, ululati, fischi acutissimi e sommessi gracidii. Ciascun animale lodava a suo modo gli dèi.
Dall’alto Gucumatz e Hurakan osservavano compiaciuti l’opera della creazione. La terra ora era luminosa, vibrante, piena di vita e di voci. Solo una cosa non li soddisfaceva: il linguaggio degli animali. Le loro voci salivano al cielo, ma nessun animale sembrava essere capace di lodare il suo creatore con la devozione del cuore.
Dopo vari tentativi, gli dèi, rivolti a tutte le bestie che abitavano la terra, dissero: «Voi, creature che avete ricevuto la vita, il cibo e un ambiente confortevole dove abitare, ancora non avete imparato a ringraziare e lodare come si deve chi vi ha creato. Continuate pure a vivere come sempre avete fatto. Ma noi, dèi del cielo e della terra, abbiamo deciso di donare la vita a una creatura che sappia ubbidire, lodare e adorare le divinità. Egli dominerà sul vostro destino, si ciberà delle vostre carni e sarà il re del creato».
Riunita negli abissi del cielo, la Triade aveva deciso: avrebbe creato l’uomo e la donna…
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La parabola – tratta dalla tradizione Maya – rappresenta un mito delle origini. I miti sulla reazione del mondo sono presenti in molti popoli e sono usati per spiegare la presenza dell’umanità e del mondo circostante, ma anche per rappresentare valori e simbologie importanti per la cultura di appartenenza.