A cura di don Ezio Del Favero

205 – Lo Spirito della Falesia

«Prendersi ben cura dei guardiani della propria casa allontana la sfortuna»

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Tempo fa, una tribù del popolo Dogon viveva ai piedi di una montagna denominata Falesia di Bandiagara. A poca distanza, una tribù del popolo Peulh viveva accanto a delle dune di sabbia.

Un giorno, un Peulh si recò nella boscaglia con la sua mandria di mucche e incontrò una signora anziana sconosciuta, seduta in mezzo al cammino, con le gambe distese a terra. Il mandriano la calpestò mentre cercava di raggiungere una delle sue mucche che aveva visto in lontananza, senza chiederle scusa.

Poco dopo, un Dogon, munito di una piccola zappa e di una borraccia, prese lo stesso cammino per andare verso i campi. A pochi passi dall’anziana signora, costui salutò: «Buongiorno, nonnina, stai bene? Posso per favore passare?». «Certo, ragazzo», rispose lei, tirando indietro le gambe.

Il Dogon ringraziò. Volendo poi darle un ultimo saluto, si voltò, ma non vide nessuno e nemmeno la traccia di dove l’anziana fosse seduta. Dubitava della reale esistenza di quella signora e concluse che probabilmente si trattava di un sogno. Volendo conservarne il ricordo, raccolse un po’ di fango e proseguì il suo cammino.

La sera, il contadino andò a trovare la Volpe della Divinazione – in grado di ottenere informazioni da fonti soprannaturali – per descriverle la sua strana avventura. La volpe gli fornì alcune spiegazioni: «Sicuramente era lo Spirito della Falesia venuto a controllare il comportamento del nostro popolo. Se riesci a ritrovare quel posto, vai a raccogliere un po’ di fango dove era seduta l’anziana». «Ho già quel fango qui con me», rispose il giovane.

La volpe, contenta di quella risposta, continuò: «Va’ e costruisci una piccola capanna dal tetto appuntito con questo fango e versaci dentro ogni mattina il sangue di un gallo o di una pecora o di un bue. Poi pregherai e otterrai ciò che ami in questa vita. Ma fa’ attenzione: se non riesci a soddisfare il feticcio (oggetto venerato), esso ti divorerà!». «Ho capito, grande Volpe», rispose il giovane. Senza indugi, il contadino iniziò a costruire la capannina appuntita e vi sacrificò un gallo nero. Una settimana di preghiere dopo, il giovane Dogon ebbe in cambio felicità di ogni tipo.

Curiosa di quel successo, la famiglia vicina tenne d’occhio il giovane e scoprì il suo segreto. Così lo copiarono… e così via, di famiglia in famiglia. Alla fine, l’intero villaggio iniziò a venerare la capannina e in seguito altri villaggi lo fecero, fino a formare un’intera regione chiamata paese Dogon. Fu così che nacque il sacrificio Dogon sulla capannina dal tetto appuntito.

Un altro giorno, un cacciatore andò nella boscaglia in cerca di selvaggina. Esausto, si riposò ai piedi di un grande albero. Guardando il cielo, vide un piccolo arbusto che cresceva sul tronco. Curioso, si arrampicò sull’albero per raccoglierlo. Una volta a terra, il piccolo arbusto si trasformò nella sua mano in una testa con quattro occhi, due dei quali posti davanti e gli altri due dietro. Il cacciatore rimase impassibile. Improvvisamente, la testa si trasformò in un gatto nero. Ancora l’uomo non si mosse. Il gatto si trasformò successivamente in un leone, poi in un coccodrillo, per diventare infine un gigante in forma umana, che disse al cacciatore porgendogli una statuina in legno: «Tu sei il più coraggioso che io conosca. Ti offro questa statuetta. Ma non dimenticare, dovrai versarci sopra della noce di Cola schiacciata o del latte di mucca se non vuoi che ti porti sfortuna». «Certo», rispose il giovane, ringraziando calorosamente.

Fu in quel giorno, e in seguito a quelle due azioni straordinarie, che nacque il feticcio Dogon, con i simboli sacri della capannina appuntita e della statuetta divinatoria.


La parabola – raccolta in Mali – insegna: «Prendersi ben cura dei Guardiani della propria casa allontana la sfortuna».

I Dogon sono una popolazione africana del Mali, di circa 240.000 individui. Occupa la regione della Falesia di Bandiagara e alcuni gruppi sono stanziati nei territori attigui al Burkina Faso. I Dogon realizzano statuine raffiguranti gli antenati, talvolta rappresentati con le braccia alzate (come segno d’invocazione). Sono prevalentemente coltivatori di miglio, caffè e tabacco e hanno una particolare abilità come fabbri e scultori. Tradizionalmente, praticano una religione animista e, nonostante i contatti con l’Islam “nero” e con altre religioni monoteistiche, essi mantengono un legame molto forte con le loro tradizioni religiose.

Per la cronaca, le comunità Peulh e Dogon della zona di Mopti (dove si trova la Falesia del racconto) hanno firmato un accordo di pace umanitaria il 7 febbraio 2021, che le vede impegnarsi a garantire l’integrità fisica e la libera circolazione delle persone, dei beni e del bestiame nella regione del Mali centrale.