A cura di don Ezio Del Favero

206 – Il saggio sui monti dell’Anatolia

E non un solo giorno si dimenticò di cantare, vivendo lì fino alla fine della sua vita

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Un uomo aveva deciso di cercare le verità della vita. Si chiamava Yunus.

Così si diresse verso il deserto, dove nessuno andava tranne qualche volta un pastore in cerca di una pecora perduta, o di qualche bandito in fuga, o dei resti di un esercito inseguito dai vincitori. E camminò, sempre dritto, senza sapere dove andare.

Un giorno Yunus incontrò Taptouk. Costui era stato un grande guerriero. Aveva sconfitto molti uomini e lui stesso era stato spesso dato per morto. Un giorno, dopo una battaglia, giaceva nel suo sangue pensando che quella volta sarebbe stata la fine. Si trascinò fino a un ruscello, senza nemmeno la forza di bere, e attese la morte.

Non arrivò la morte, ma una donna. Questa lo portò nella sua capanna, si prese cura di lui, giorno e notte, per tanti giorni. E l’uomo guarì tutte le sue ferite, tranne una: un colpo di sciabola lo aveva colpito agli occhi. Questo non si poteva curare. Taptuk, cieco, non avrebbe mai più potuto fare la guerra. Ma lui e la donna decisero di vivere insieme.

Un giorno, la donna guidò il marito cieco attraverso il deserto, finché giunsero in un luogo montuoso e lì, su una vasta collina rocciosa spazzata dal vento, sentirono la vastità del mondo e decisero di vivere in quel luogo. Lì si sistemarono in una grotta.

Alcuni, avendo appreso che un uomo e una donna vivevano lì, nel mezzo del deserto anatolico, giunsero e si sistemarono nelle grotte vicine a quella di Taptouk. È così che fu fondato una specie di monastero in mezzo al deserto sulle colline rocciose.

Un giorno, in quella sorta di monastero arrivò Yunus.

Chiese a Taptouk, il saggio della comunità, di istruirlo, di insegnargli la verità. Taptuk lo guardò a lungo, come se lo vedesse, e disse: «Ebbene, resta. Per iniziare, spazzerai il cortile, tre volte al giorno». Yunus si mise a spazzare il cortile, tre volte al giorno. Mentre gli altri monaci pregavano e imparavano, egli spazzava il cortile e nessuno gli parlava, nemmeno il maestro Taptouk. Yunus cantava mentre spazzava. Cantava canzoni che aveva inventato, che chiamava “respiri”: canti che esprimevano ciò che gli passava per la testa e il cuore e poi il vento se li portava via.

Dopo cinque anni Yunus si chiedeva se Taptouk non lo avesse dimenticato. «Perché non mi dice niente? Forse vuole insegnarmi qualcosa? Quindi devo proseguire così?». E continuava a spazzare il cortile tre volte al giorno e a cantare.

Dopo altri cinque anni, non era successo nulla; così Yunus pensò: «Non è giusto. Perché non sono ammesso al suo insegnamento? Vuole farmi capire qualcosa? Forse a essere umile? Quindi devo continuare?». E così continuava a spazzare e a cantare per mantenere la gioia nel cuore.

Cinque anni dopo, pensò irritato: «Sono venuto qui per conoscere la verità, non per spazzare!». Così se ne andò, lasciando tutto lì, proseguendo per il deserto.

Nel deserto Yunus non trovava nulla da mangiare né da bere. Si disse che stava per morire, ma che era meglio morire camminando. Continuò a camminare per tre giorni.

Nel momento in cui stava per sdraiarsi a terra per morire, vide una tenda.

Era una grande tenda, e le persone davanti a essa lo videro e gli fecero segno di avvicinarsi. Yunus li raggiunse e fu estasiato. Lì era fantastico: le persone bevevano bevande fredde, mangiavano frutti succulenti e piatti profumati. Non riusciva a crederci! Si mise a bere, a mangiare, a riposare. Finché non parlò chiedendo: «Ci troviamo nel deserto; come è possibile avere tutto questo? Perché siete qui?».

Gli risposero: «Ebbene, un giorno stavamo passando di qui e all’improvviso abbiamo sentito un canto. Ci siamo fermati per ascoltare meglio. Ed ecco, abbiamo visto dell’acqua scorrere ai piedi della roccia, delle piante crescere accanto e su di esse comparire dei frutti. L’acqua scorreva finché si udiva la canzone. Così siamo rimasti. La canzone tornò una seconda volta, e poi una terza volta nello stesso giorno. Ogni volta l’acqua scorreva e le piante spuntavano dal terreno, fiorivano e davano frutti. Così siamo rimasti in questo posto straordinario e ci viviamo da cinque anni».

Yunus chiese: «Potete insegnarmi quelle canzoni?». Tutti cantarono e il viandante riconobbe le sue canzoni, quelle che aveva inventato e cantato spazzando tre volte al giorno e che il vento soffiava via.

Così Yunus ringraziò e tornò, più in fretta che poteva, al monastero di Taptuk. Arrivò al calar della notte. La palizzata che circondava le abitazioni era chiusa. Bussò, chiamò. Arrivò la moglie di Taptouk. «Posso entrare e riprendere il mio posto?». «Non lo so – rispose la donna – Taptouk era così rattristato dalla tua partenza. Ripeteva: “Come ha potuto lui, il mio figlio prediletto, quello che ho amato più di ogni altro, quello a cui ho dato il meglio di me stesso, come ha potuto andarsene così?” e ne era terribilmente scontento. Sdraiati qui nel cortile e passa la notte qui. Domani mattina Taptouk uscirà dalla grotta e verrà a passeggiare al mio braccio. Colpirà il tuo corpo. Se lui dice: “Cos’è quel corpo a terra?”, saprai che qui è finita per te qui e dovrai andartene per sempre. Se invece dice: “Non è questo il corpo del nostro buon Yunus?”, allora potrai rimanere».

Al mattino, Taptouk andò a fare la sua passeggiata. Colpì un corpo a terra e disse a sua moglie: «Non è questo il corpo del nostro buon Yunus?».

Così Yunus riprese a spazzare, ma anche a imparare dal suo maestro, vivendo lì fino alla fine della sua vita. E non un solo giorno si dimenticò di cantare.


Termina la parabola raccolta in Anatolia (Turchia): «E quando la sua anima si allontanò con il vento, tutti i suoi canti se ne andarono, in tutte le regioni del Paese e in tutto il mondo».