A cura di don Ezio Del Favero

209 – Il Samurai più forte  

«Il movimento vince il freddo, lo star fermi vince il calore. Chi è calmo e tranquillo diventa la guida del mondo»

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Hakuko vinceva tutti i combattimenti. La sua agilità, la sua velocità e la sua arte di schivare gli facevano abbandonare l’elmo, la corazza di cuoio e gli altri elementi dell’equipaggiamento da Samurai per combattere vestito solo con una tunica e dei pantaloni bianchi. Sul campo di battaglia sembrava volare sopra i ranghi dei suoi avversari. Se non per i suoi brillanti occhi grigi, nulla nel suo aspetto lo distingueva da un uomo comune. Ben oltre le montagne, la sua reputazione di guerriero era grande.

Al culmine della sua gloria, s’interrogò sul significato della sua vita piena di violenza e di sangue. Così decise di ritirarsi in una modesta residenza sulle rocce della scogliera di Osaka, appendendo la sua katana. Ogni mattina si sedeva sulla roccia e, di fronte al mare, rimaneva immobile a meditare. Quando l’emissario dello Shogun venne a chiedergli di tornare in guerra, si rifiutò di seguirlo e annunciò che l’eroe Hakuko non era più di questo mondo. Il che era vero perché non era più lo stesso uomo.

Alcuni discepoli lo raggiunsero sulla roccia e a essi, con l’esempio, insegnò la pazienza e l’umiltà. Passarono diversi anni, senza che nessuno dimenticasse le imprese di Hakuko, quando un giorno uno dei suoi discepoli, scoraggiato dal suo apprendimento, abbandonò il gruppo. Costui, una sera, dopo aver bevuto molto sakè, rivelò ai compagni la vera identità del suo vecchio maestro. La notizia si diffuse rapidamente in tutta la provincia e raggiunse le orecchie di un giovane e ambizioso guerriero di nome Imagawa, la cui crescente reputazione cominciava a essere conosciuta a corte.

Costui non aveva mai perso una battaglia. Aveva una tecnica di combattimento molto speciale: appena l’avversario tirava fuori la spada, lo annientava con un attacco lampo. «Ah, quel vecchio Hakuko è ancora vivo! Perché non lo vediamo più nella guardia dello Shogun? Senza dubbio ha sentito parlare di me e ha preferito ritirarsi piuttosto che affrontarmi!». Poiché conosceva la reputazione del Samurai, era determinato a sconfiggerlo per aumentare la propria gloria.

Imagawa sfidò Hakuko a un unico combattimento il cui esito non poteva che essere la morte. I discepoli erano contrari: «Maestro, non ti chinerai per affrontare quello spavaldo? Non devi dimostrare nulla; tutti ricordano il tuo valore!». Ma il mattino seguente il Maestro annunciò loro: «Lo affronterò, ho qualcosa da insegnarvi».

La luna seguente, su una piattaforma rocciosa, si riunirono sul lato destro lo Shogun, la sua corte, le sue concubine, la sua guardia colorata, una fila di samurai e il resto dell’esercito. Sul lato sinistro si sistemarono gli uomini, le donne e i bambini del villaggio e dei villaggi circostanti. Hakuko si purificò nell’acqua gelida della cascata, indossò i suoi vestiti di seta bianca, si legò i capelli e si cinse la fronte con un nastro anch’esso bianco. Poi prese la sua katana e, seguito dai discepoli, si recò nel luogo concordato e si accampò nel mezzo del cerchio della verità. Imagawa avanzò a grandi passi sul sentiero che conduceva alla roccia della sfida, sudando sotto la sua pesante imbracatura da Samurai seguito dalla troupe dei suoi ammiratori urlanti.

I due Samurai si affrontarono. Il silenzio era totale. Suonò il gong. Imagawa: «Sembra che tu abbia sconfitto un centinaio di avversari! Non posso crederci, sei solo un vanaglorioso!». Hakuko con gli occhi chiusi, fissando l’orizzonte, sembrava ignorare il suo avversario, che continuò a provocarlo: «Dovevano essere solo dei miserabili! Non c’è gloria nello sconfiggere tali nemici! Vieni, hai finalmente nella mia persona un vero Samurai!». Hakuko rimaneva immobile. Lo sfidante continuò: «Allora, che cosa stai aspettando? Sei paralizzato dalla paura! Tieni, prendi questo» e gli gettò una manciata di sabbia in faccia e sputò nella sua direzione. Hakuko rimase immobile. «Tuo padre deve essere stato un pollo per generarne uno così pauroso! E tua madre un tacchino!». Imagawa ruotava attorno a Hakuko continuando a coprirlo d’insulti sempre più violenti e infami mentre gesticolava con la spada. Hakuko rimaneva immobile. Imagawa non sapeva più come fare perché l’avversario reagisse e poter finalmente scoccare il suo attacco segreto.

Dopo mezz’ora di quel teatrino, lo Shogun si ritirò insieme al suo seguito. E così gli abitanti del villaggio. Tremante di rabbia, Imagawa dovette ammettere la sua impotenza e si ritirò sotto i sorrisini dei bambini. Nessuno lo rivide mai più. «Maestro, come hai potuto ricevere tutti quegli insulti senza reagire? Ha persino infangato i tuoi genitori! Perché non hai usato la spada a rischio di perdere il combattimento piuttosto che apparire vigliacco? Ti sei disonorato e anche noi allo stesso tempo!».

Hakuko rispose: «Quando qualcuno ti consegna un regalo e tu non lo accetti, chi possiede il regalo?». «A colui che voleva darlo!», rispose uno dei discepoli. «Lo stesso vale per l’invidia, la rabbia e gli insulti», disse il Maestro. «Quando non sono accettati, appartengono a colui che li porta nel proprio cuore».


La parabola giapponese – tratta dalla saggezza Zen – insegna a sapersi dominare.

Aforismi Zen:

  • «Impara a essere calmo e sarai sempre felice» (Paramahansa Yogananda);
  • «Sii calmo nell’attività e attivo nella calma» (Swami Kriyananda);
  • «Il movimento vince il freddo, lo star fermi vince il calore. Chi è calmo e tranquillo diventa la guida del mondo» (Lao Tzu).