A cura di don Ezio Del Favero

216 – L’insolita preghiera del Bektashi

«Copri ciò che vedi, non parlare di ciò che non vedi; non aggrapparti a ciò che non è tuo»

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Un Bektashi (membro di una confraternita islamica) arrivò un giorno in un villaggio povero aggrappato alle rocce bianche di una montagna dell’Anatolia. Si accovacciò per mendicare vicino al muro della moschea. Da dove veniva, nessuno lo sapeva.

In una casa vicina c’era un padre disperato. Suo figlio era afflitto da una languida malattia e si consumava giorno dopo giorno. All’epoca non c’erano medici in quelle campagne di montagna. Le anziane che conoscevano le erbe avevano esaurito invano i loro rimedi. L’Imam poteva solo raccomandare al padre di pregare il Misericordioso per accogliere l’anima del figlio.

Quando il padre venne a sapere dell’arrivo del Bektashi, speranzoso lo fece chiamare e gli disse: «Dicono che voi Bektashi sapete parlare con Dio e che a volte compiete miracoli. Salva la vita di mio figlio e avrai da me tutto ciò che un uomo può dare!». «Basta una preghiera», disse il Bektashi.

Lo straniero si mise davanti al letto del ragazzo morente e disse ad alta voce, con il volto rivolto al cielo: «Signore, sarò breve. Se sto parlando con Te, io non lo volevo, è per quest’uomo. È pazzo. Vuole che tu guarisca suo figlio morente. Si sta illudendo, lo so. Che c’entri tu con il dolore di un padre? Provochi cento volte peggio di sventure ogni giorno! Quindi, non ti sto chiedendo nulla. Vuoi questo bambino? Va bene, prendilo, fai come vuoi. Torna ai tuoi affari, io torno ai miei. Addio!».

Il padre, sentendo ciò, urlò: «Figlio di Satana! Sciacallo rivoltante! Ciarlatano! Ti sembra questo il modo di pregare per una persona morente?». Con calci e pugni cacciò di casa il Bektashi.

La mattina seguente il bambino era guarito. Il padre fu molto contento e annunciò la notizia in piazza. Quando incontrò il Bektashi, gli disse: «Eccoti, maledetto! Fortunatamente Allah, benedetto sia il suo nome, non ti ha ascoltato. Il mio ragazzo comunque è salvo e non per merito tuo!».

Pazientemente lo straniero rispose: «Ho fatto ciò che era necessario per arrivare a ciò. In questi tempi Dio e io siamo arrabbiati. Ogni volta che gli chiedo qualcosa, fa il contrario. Così l’ho invitato a prendersi tuo figlio, così ero sicuro che lo avrebbe lasciato vivere. E così ha fatto. Dio è arrabbiato con me, non so perché. Ma tutto passa e gli passerà anche a lui. Nel frattempo, dammi come ricompensa una delle tue capre»…


La parabola – raccolta in Anatolia (Turchia) – ha per protagonista un Bektashi. Le origini della sua confraternita risalgono al XIII secolo, quando Hajji Bektash Veli raccolse attorno a sé i membri di numerosi gruppi sufi, diffusi tra la popolazione rurale e nomade dell’Anatolia, assumendone alcune pratiche come la rasatura (capelli, sopracciglia, baffi e barba) e la preferenza per il celibato. Con le altre confraternite islamiche l’ordine condivide la necessità di una guida spirituale – babà – così come la dottrina delle “quattro porte” che devono essere varcate. Inoltre, ci sono pratiche che hanno somiglianze con altre tradizioni, come il pasto rituale e la confessione annuale dei peccati a un babà. I Bektashi basano le credenze e rituali sulla loro interpretazione e comprensione non ortodossa e mistica del Corano e delle pratiche profetiche. Non hanno una dottrina specifica scritta, quindi il significato e l’interpretazione possono differire a seconda dell’insegnante. Pregano due volte al giorno, non sempre rivolti verso la Mecca, e non piegano necessariamente le ginocchia. Come altri musulmani, la maggior parte non mangia carne di maiale, né tocca tartarughe, cani o serpenti e, soprattutto, non si avvicina ai conigli. Le donne partecipano alla pari a cerimonie e assemblee, cosa che scandalizza i musulmani tradizionalisti e che in passato diede adito a congetture e dicerie sulla vita e sul comportamento al loro interno. I Bektashi non sono obbligati a praticare il Ramadan, ma digiunano durante il periodo della misurazione. Dopo la misurazione arriva la festa dell’Ashura, durante la quale mangiano un dolce a base di grano battuto, frutta secca, noci e cannella.

Nel 1925 l’ordine Bektashi fu ufficialmente sciolto in Turchia, insieme alle altre confraternite sufi. La sede dell’ordine fu trasferita in Albania, principale roccaforte dei Bektashi nei Balcani. Con l’avvento del governo comunista la loro attività subì una serie di restrizioni, culminate nel divieto ufficiale dell’ordine insieme a tutte le altre religioni nel 1967. Nel settembre 2024 il primo ministro albanese ha annunciato l’intenzione di creare un piccolo Stato per i Bektashi a Tirana (un quarto della Città del Vaticano): progetto volto a promuovere una versione tollerante dell’Islam e di convivenza fra le religioni.

Bektash stabilì nell’ordine dei Bektashi un solido sistema morale con il motto “Cura della mano, della vita e della lingua”, ovvero “attenzione che le mani non si tocchino in questioni separate, la lussuria non sia diretta verso il proibito e la lingua non pronunci cose proibite”.

«Non mentire. Non mangiare haram. Non spettegolare. Non attaccarti troppo alla lussuria. Possiedi le tue mani, la tua vita e la tua lingua. Non invidiare nessuno. Non essere arrogante e odioso. Non essere amareggiato e non essere arrabbiato. Copri ciò che vedi, non parlare di ciò che non vedi. Non aggrapparti a ciò che non è tuo. Non tendere la mano dove non potrà arrivare. Non prendere parole dove le parole non vanno. Guarda per prendere esempio, parla a bassa voce. Sii paziente con i più piccoli e tratta gli adulti con rispetto. Rendi sincero il tuo impegno. Cerca la verità nella tua essenza. Abbi conoscenza dei segreti degli elevati».

Tra le cose proibite rientrano: ingiustizia, maldicenza, agire senza conoscenza, inadempienza agli obblighi, spionaggio, predizione del futuro, avventura, calunnia, tradimento, bugie, gioco d’azzardo, alcol… Per ciascuno dei peccati che pregiudicano la vita della setta sono previste punizioni.