PAKISTAN – Suor Agnese Grones racconta la sua vita in Missione in vista dell’Ottobre Missionario

40 anni in Missione, tra soddisfazioni e persecuzioni

«Grazie ai bellunesi, gente di montagna che ama la sua terra, ma che sa guardare anche oltre…»

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L‘incontro con suor Agnese
Mi fa strano vedere suor Agnese vestire con l’abito da religiosa “europeo”. Sono a casa di sua sorella, che la ospita per questo periodo di riposo in Italia. In Pakistan, dove vive dal 1980, veste il tipico abito shalwar kameez, composto da una camicia e un pantalone azzurro, accompagnato da uno scialle bianco. Questo abbigliamento non è solo un segno di integrazione culturale, ma anche un rifugio dalle possibili accuse degli estremisti islamici. Sono passati ormai dieci anni da quando andai a trovarla nella città di Karachi, una megalopoli da 15 milioni di abitanti affacciata sul Mar Arabico. Mi accoglie con il sorriso e un abbraccio di una madre e una sorella, complici di aver condiviso un piccolo periodo insieme.

Gioie e soddisfazioni
L’ottobre missionario straordinario è ormai prossimo e, seduti sulla panca della cucina tra le nostre montagne, provo a capire da lei alcuni aspetti della sua vita missionaria, così che le persone che incontreremo in questo mese in diocesi potranno vivere anche loro questa ricchezza.
«Suor Agnese, dimmi, quali sono le gioie e le soddisfazioni nella tua vita missionaria in Pakistan», le domando.
«Ricordo quando sono arrivata 40 anni fa, rimasi colpita di come mi hanno accolto pur essendo straniera. La relazione con le persone è indubbiamente la gioia più grande che ho avuto. È emozionante l’attenzione di quando parli a loro di Gesù. Quando vedono film sulla storia del Nazareno spesso si commuovono. A Karachi, ma anche a Lahore, questi incontri li facciamo lungo le strade, nei quartieri delle persone più povere. Posizioniamo un telo nei vicoli stretti della città o dei villaggi e lì proiettiamo i filmati… Senza la presenza di Gesù non ce l’avrei fatta, non conoscevo la lingua, le strade… mi dicevano che in certi luoghi era pericoloso, avrei dovuto avere dei permessi speciali, ma anche nei posti di blocco nessuno mi fermava. Ricordo la mia prima uscita, ero a nord di Islamabad, un autista mi ha portato fino a un certo punto, poi lui è sceso e ho dovuto guidare io sulla montagna per arrivare a destinazione», dice scoppiando in una risata. «Però la gioia di vedere quella gente! Fanno di tutto per rendere accogliente la tua venuta, sono persone povere, ma fanno di tutto per farti sentirti a casa».

Problematiche e ingiustizie
Sorrido con lei, e intanto la sorella Bruna posiziona sul tavolo due belle tazze di caffè. La guardo e le chiedo: “Quali problematiche e ingiustizie hai vissuto in questi anni?”.
«La blasfemia è una piaga grave nel paese. Se una persona viene accusata di bestemmia contro il Profeta ti mettono in prigione, senza verificare se è vero o falso. Spesso sono casi di ritorsione tra persone che hanno problemi personali, di invidia o… Woris, un nostro collaboratore in libreria fu arrestato, con questa motivazione. L’hanno tenuto in prigione tre giorni solo perché lavorava da noi. La libreria poi fu chiusa per un periodo, perché, a loro modo di vedere, denigrava il Profeta. I militari erano venuti a casa per prendere anche noi, ma non trovandoci hanno arrestato lui. Quarant’anni fa, potevamo uscire anche la sera, ora è molto più pericoloso, c’è tanta violenza. Per fortuna ci sono dei gruppi di islamici con cui si può dialogare, ma ci sono anche gli estremisti. Ti ricordi quella giovane madre, arrestata per blasfemia?» mi domanda. «Asia Bibi?» rispondo io. «Esatto! Quando è stata liberata è successo il finimondo. Noi siamo rimaste chiuse in casa in quei giorni». Risponde alzando le braccia, come per non dare peso all’accaduto.
«E gli altri cristiani come fanno a vivere una situazione così difficile?» le domando.  Suor Agnese mi guarda e con tono sommesso: «I cristiani che vivevano vicino a noi se ne sono andati dalla nostra via. Non c’era futuro per i figli. Sono emigrati soprattutto in Australia, Canada e Inghilterra».
Il caffè nel frattempo non l’ho ancora toccato ed è diventato freddo. Questo dialogo mi porta in luoghi lontani e in situazioni di vita difficili da immaginare. Suor Agnese non si scompone, la serenità del suo viso contrasta umanamente con quello che mi sta raccontando. È emozionante vedere come nel suo racconto non prevalga mai il sentimento di rivalsa o di odio verso gli artefici di queste persecuzioni, e di come riesca a vedere il bene in tutto quello che mi racconta. Ogni tanto mi tocca una spalla, e mi riporta alla realtà. È un peccato che solo io possa gustare questa testimonianza e incontrare questa grande donna.

Ai bellunesi vorrei dire…
«Suor Agnese, se potessi incontrare tutti i bellunesi cosa vorresti dirgli?» intervengo io, rompendo il silenzio di alcuni secondi.
«Direi loro che sono molto grata ai bellunesi che sono così sensibili verso le Missioni, che danno del loro per le persone povere. Ripenso all’enorme sforzo che avete fatto per aiutare le persone colpite dal terremoto, con l’aiuto dell’iniziativa “Un pane per amor di Dio”. Questi segni, oltre ad alleviare la sofferenza delle persone, mi ricordano le mie origini. Gente di montagna che ama la sua terra, ma che sa guardare anche oltre».

Josè Soccal