In un vasto altopiano si trovava una città ricca e prospera, ma gli abitanti erano talmente pieni di superbia da credersi i padroni del mondo.
Un giorno arrivarono lì due viaggiatori che avevano attraversato l’intera Cordigliera delle Ande. Dopo tanto viaggiare, il loro aspetto era piuttosto miserevole e i loro abiti, un tempo signorili, ora cadevano a brandelli. I cittadini, poco inclini all’ospitalità, vedendo quegli straccioni li trattarono con disprezzo tanto da costringerli ad andarsene in malo modo. I due viandanti, infatti, profondamente umiliati, prima di andar via, profetizzarono: «La vostra città in breve tempo sarà distrutta da un tremendo cataclisma! La terra dapprima sussulterà dalle profondità delle sue viscere, poi sarà bruciata dal fuoco e infine sarà sommersa dalle acque!». Gli arroganti e superbi cittadini si burlarono della profezia e cacciarono a colpi di pietra i due viandanti.
Qualche tempo dopo, in quell’altopiano, il cielo e la terra si trovarono avvolte da un’inedita luce rossa. La terrà cominciò a tremare e le profonde crepe che si formavano inghiottirono una dopo l’altra le costruzioni, anche quelle più grandi e resistenti. Dal cielo cominciò a cadere una pioggia infuocata, mentre i canali d’irrigazione e i fiumi inondarono i resti della città, sommergendone anche i superbi abitanti.
Fu così che le acque ricoprirono tutta la valle e là dove sorgeva la città si formò il lago Titicaca, che nella lingua Aymara significa “Puma (Titi) di pietra (Kjarka)”.
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La parabola – raccolta tra la popolazione Aymara (tra Perù e Bolivia) – narra l’origine del Lago Titicaca: una punizione per la malvagità degli uomini. Il mito richiama la storia mitologica del Diluvio Universale nella Bibbia e in altre culture.
Un’altra parabola Aymara spiega l’origine del nome “Titi-caca”.
Il dio Apu Qullana Awki – narra la leggenda – dopo aver terminato di creare decise di popolare l’opera della sua creazione con gli uomini, gli animali, le piante e ogni specie di vivente. Guardando soddisfatto il suo lavoro, prima di ritirarsi sulla montagna di neve, disse agli uomini: «Siate felici, vi affido questo Paradiso!».
In quella bellissima vallata, la gente cominciò a vivere in pace, ignorando l’odio, l’invidia e l’avidità. Il quel luogo regnava l’armonia. L’unico comandamento dettato dal Creatore fu: «Non salite mai sulla Montagna Divina, luogo che ho scelto come mio personale rifugio e dove brucia il Fuoco Sacro!».
Però, occultata sotto forma di brama di potere, si insinuò nella mente degli umani la tentazione di diventare potenti come il Dio Creatore, impossessandosi del Fuoco Sacro. Infrangendo l’unico comandamento, gli uomini salirono sulla cima della Montagna Divina.
In cima al monte, però, i trasgressori udirono un terribile ruggito. Il Creatore per punizione aveva inviato contro di loro un branco di terribili puma grigi che, in un attimo, divorarono gli uomini. Inti, Padre Sole, vedendo quello che era successo, si mise a piangere a dirotto, inconsolabile, per quaranta giorni e quaranta notti.
Le lacrime versate da Inti formarono una laguna e poi un grande lago che affogò gli stessi puma grigi. I pochi umani che si erano salvati, finalmente liberati dalla minaccia dei puma, resero grazie al Padre Inti, alla Madre Terra Pachamama e al potente Wiracocha. Intonando inni di grazia, la gente ripeteva come ritornello: «Qaqa titinakawa!» («i puma grigi sono qui!»), da cui il nome del lago “Titi-caca”.
Dopo quei puma grigi vennero altri puma a distruggere le persone disobbedienti.
I loro figli e i figli dei loro figli furono costretti a lavorare in miniera tra lacrime e sudore di sangue, mentre le loro donne venivano umiliate e macchiate dagli uomini bianchi. E di nuovo il Padre Inti pianse per i suoi figli costretti a vivere in un mondo ingiusto. Le sue lacrime, oltre che tenere alto il livello del Titicaca, ebbero il potere di risvegliare l’orgoglio degli Aymara, i figli del Sole e della Terra, che da allora vivono nelle vicinanze del Lago Sacro.