L’ anno santo che stiamo attualmente vivendo resterà memorabile anche per il fatto che è stato inaugurato da un pontefice, Papa Francesco, e sarà chiuso da un altro, di cui, mentre scrivo questo articolo, non conosciamo ancora il nome. Una circostanza straordinaria, ma non inedita. Accadde la prima e unica volta durante il giubileo del 1700, l’anno secolare che segnava il passaggio dal Seicento al Secolo dei Lumi.
L’anno santo era stato inaugurato da Papa Innocenzo XII, il napoletano Antonio Pignatelli, salito al soglio pontificio nel 1691, all’età di 76 anni. Un’età assai avanzata per quell’epoca, ma portata da una persona energica sia nel fisico che nella tempra interiore. Riformatore convinto, intervenne in maniera drastica a por fine al nepotismo papale; istituì un dicastero della curia incaricato della riforma degli ordini religiosi; impedì per il futuro la vendita delle cariche pubbliche nell’amministrazione dello stato, prassi abituale nei regni europei; portò avanti importanti interventi di bonifica delle paludi del territorio laziale. Paziente negoziatore, ricucì la grave frattura intervenuta tra la Santa Sede e il re di Francia Luigi XIV circa le dottrine gallicane della Chiesa francese.
Già nel 1698, Innocenzo XII istituì una commissione cardinalizia, che per tempo provvedesse ai preparativi per l’anno santo. In maniera draconiana intervenne contro la piaga del banditismo, che rendeva incerte le strade per i pellegrini. A dimostrazione che si faceva sul serio, in Piazza del Popolo vi furono, cosa all’epoca abituale, impiccagioni o squartamenti di celebri banditi.
Negli anni precedenti il giubileo si moltiplicarono le pubblicazioni di carattere spirituale per preparare i fedeli all’evento. Tra queste eccelle un volumetto di Jacques-Bénigne Bossuet, vescovo di Meaux, consigliere ecclesiastico e di Luigi XIV e campione del Gallicanesimo. Nella sua opera, edita nel 1696, il celebre oratore si riferiva ai fedeli con linguaggio piano e illustrava la natura dell’indulgenza e i frutti del giubileo: «il vero frutto del giubileo è il venire a una sincera e perfetta conversione e l’obbligare i fedeli a evitare le ricadute con maggiore diligenza che mai».
Nella festa dell’Ascensione del 1699, il 28 maggio, venne pubblicata la bolla papale di indizione del giubileo. Nel frattempo il papa cadde ammalato e non fu lui a presiedere la liturgia di apertura della Porta Santa alla vigilia di Natale. Questo onore spettò al francese cardinal de Bouillon (Emmanuel Théodose de La Tour d’Auvergne) diplomatico dalla vita fastosa e travagliata a un tempo.
Continuando l’indisposizione del Papa, le celebrazioni furono presiedute quasi tutte da due cardinali di particolare levatura: Gaspare Carpegna, vicario per la diocesi di Roma, e Leandro Colloredo, penitenziere maggiore. Ristabilitosi passabilmente in salute, Innocenzo XII si recò in San Pietro nell’ottava di Pasqua (18 aprile); questa e le seguenti visite, che svolse alle basiliche, furono accompagnate da intense manifestazioni di affetto da parte dei fedeli.
Ma si trattò di una ripresa fugace, l’età e la malattia ebbero ragione della tempra del pontefice che spirò il 27 settembre, all’età di 85 anni. La morte del pontefice portò un periodo di stanca nel giubileo: sia perché ai pellegrini era tolta l’attrattiva di poter vedere il Papa, sia perché la Sede vacante induceva un clima di rilassatezza nei Romani, che si lasciavano andare a manifestazioni spesso chiassose, culminanti nello svaligiare la casa del cardinale eletto papa. Il conclave ebbe inizio il 9 ottobre e, sui 66 cardinali viventi, ne presero parte 58. Considerazioni di geopolitica europea preannunciavano un conclave lungo e dal percorso tortuoso. Ed infatti solo il 23 novembre si giunse all’elezione del cinquantunenne cardinale Gianfrancesco Albani, stimato collaboratore del defunto pontefice. Sebbene fosse cardinale dal 1690, si fece ordinare sacerdote appena prima di entrare in conclave e fu ordinato vescovo giusto una settimana dopo la sua elezione. Del suo pontificato va almeno ricordata la celebre bolla Unigenitus (1713), uno degli atti di magistero papali più importanti, particolarmente per metodo, dell’età moderna: essa conteneva la condanna definitiva e dettagliata delle dottrine gianseniste.
Il nuovo pontefice, nei giorni immediatamente seguenti alla sua elezione si dedicò alle pratiche di pietà dell’anno santo, recandosi in visita alle basiliche papali, per ottenere l’indulgenza giubilare. Non si limitò alla sola devozione ma si recò anche a Santa Trinità dei Pellegrini, l’ospizio di maggior capienza, per servire personalmente i pellegrini. Non fu che per pochi giorni. Infatti, eletto il 23 novembre, Clemente XI chiuse l’anno santo nella celebrazione della sua coronazione, l’8 dicembre.
Nella primavera dell’anno seguente indisse però un giubileo straordinario, il primo della storia, con la bolla In supremo militantis ecclesiae del 25 febbraio. Questo giubileo veniva aperto con una solenne processione papale il 2 marzo ed ebbe la durata di due settimane. I fedeli potevano ottenere l’indulgenza plenaria, una volta confessati e comunicati, visitando le tre basiliche di San Pietro, Santa Maria Maggiore, San Giovanni in Laterano e digiunando il mercoledì, venerdì e sabato di una delle due settimane. Clemente XI per primo visse quel giubileo straordinario, appendice dell’anno santo, svolgendo le visite alle basiliche e visitando ammalati negli ospedali e pellegrini negli ospizi.
don Claudio Centa
Nell’immagine: Gaspar van Wittel, Basilica di San Pietro, 1700-1710, Vienna Kunsthistorisches Museum (foto: www.khm.at).
