A cura di don Ezio Del Favero

215 – Il maestro del giardino

Mentre il suo respiro sfiorava il bocciolo, la rosa Anahakan sbocciò tutta rossa, luminosa come la vita.

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Era scritto nei vecchi libri: «C’è un giardino in ambiente montano, con un cespuglio di rose Anahakan. Sul cespuglio un giorno fiorirà la generosa rosa, quella che darà al padrone del giardino la giovinezza eterna». Il proprietario del giardino era il re d’Armenia, che ogni primavera accoglieva un nuovo giardiniere, il cui unico compito era curare e prendersi cura del cespuglio di rose. Il giardiniere di turno era abile e attento al suo lavoro, scavava il terreno intorno alla rosa, fecondava la terra, potava, toglieva le erbacce e i parassiti, annaffiava al bisogno… ma il cespuglio di rose Anahakan rimaneva sterile e il giardiniere ogni primavera veniva punito con la morte. Cosicché negli anni rimasero pochissimi giardinieri nel Paese e ancora meno qualcuno che ambisse al titolo di giardiniere reale.

Un giorno arrivò al palazzo del re un giovane proveniente dalle montagne, pieno di desideri e di sogni: «Maestà, sono giovanissimo, ho paura della morte, voglio vivere, a lungo. Se mi accetti nel tuo giardino, vedrai che farò del mio meglio per evitare il destino degli altri. Mi prenderò cura della tua rosa come nessun altro ha mai fatto».

Il re, che non aveva altra scelta, accettò il giovane montanaro. Il ragazzo si mise al lavoro in modo diverso dagli altri giardinieri: non scavava il terreno intorno alla rosa, non fecondava la terra, non toglieva le erbacce e i parassiti, non annaffiava lasciando che lo facesse la pioggia… Invece, ogni giorno si sedeva accanto al cespuglio di rose e gli parlava tranquillamente, dolcemente, ne accarezzava le foglie, gli cantava delle nenie e gli raccontava delle storie… E così se ne andò la primavera, poi passò l’estate, passò l’autunno, passò l’inverno, finché il re non guardò il suo giardino e vide che era sterile come prima, senza un solo bocciolo. «Il tuo lavoro finirà domani, quando perderai la vita!».

Quella sera, spaventato e disperato, il giovane si sedette accanto al cespuglio, parlandogli con dolcezza: «Vedi, cara rosa, domani sarò giustiziato! Non ci sarà mai nessuno che si prenderà cura di te come ho fatto io! Cosa farai senza di me? Nessuno si siederà accanto a te, nessuno accarezzerà le tue foglie, ti canterà delle nenie e ti racconterà delle storie… Aiutami! Dimmi che cosa c’è che non va? Forse soffri?». Mentre il giardiniere così parlava, dalle radici della rosa emerse un bruco, tutto nero, ripugnante. In quel mentre, un uccellino si posò sulla mano del giovane e, con le ali che sbattevano, gli rubò il bruco, portandolo su un albero. In quel momento, un serpente emerse dal tronco cavo, ingoiò il verme e l’uccellino. Poi un’aquila scese dal cielo, uccise il serpente, lo prese tra gli artigli e volò via. Il giardiniere guardò l’aquila sparire in cielo e, quando si voltò verso il cespuglio di rose, vide che era appena cresciuto un bocciolo, un bocciolo fresco, piccolo e fragile. «Oh rosa, finalmente sei arrivata! Grazie, sono salvo!». Mentre il suo respiro sfiorava il bocciolo, la rosa Anahakan sbocciò tutta rossa, luminosa come la vita.

Il giovane corse felicemente dal re, dicendogli cosa era successo. Il sovrano corse verso la rosa e vide che il giardiniere stava dicendo la verità. «Sei un giovane straordinario! Sarai il custode delle rose Anahakan, sarai il mio capo giardiniere! E io sarò immortale, grazie a te!».

Passarono gli anni e un giorno il re si ammalò. Era gravemente malato. Chiamarono i medici, ma nessuno riuscì ad aiutarlo; chiamarono i sacerdoti, ma pregavano per lui e il re si ammalava sempre di più. Chiamarono il giovane giardiniere: «Che cosa succede? I vecchi libri non dicevano la verità? La rosa di Anahakan non rende immortale il proprietario del giardino?». Il re si lamentava: «Ero il padrone del giardino. Ed ecco, non sono immortale!». Il giovane precisò: «Maestà, i vecchi libri hanno sicuramente detto la verità. La rosa rende davvero immortale il suo padrone. Ma sua maestà non è mai stata il padrone del giardino… La giovinezza eterna appartiene a colui che osserva e cura, e io ho osservato e curato dall’alba al tramonto, dal crepuscolo al giorno. Il giardino è di chi si dedica a lui come nessun altro mai. Possedimenti e ricchezza sono fugaci, ma la cura e la tenerezza sono eterne».

Il re, sentendo ciò, sospirò e morì. Il giovane gli chiuse gli occhi e tornò in giardino. Quella sera, una bella e serena serata, le stelle brillavano luminose nel cielo sereno. Il giovane si stese sull’erba, accanto alla rosa Anahakan, e salutò le stelle, una a una, un saluto speciale per ogni stella. Sapeva di avere tutto il tempo che desiderava.


La parabola – tratta da un racconto popolare armeno – è una lezione di vita: la cura amorevole dona vita; l’amore autentico e sincero è immortale.