La posizione della Chiesa cattolica non è cambiata

Diciamo sì alla vita

Intervista de “Il Gazzettino” a don Diego Puricelli, dottorando in Teologia morale e bioetica alla Pontificia Università Gregoriana di Roma

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La Giornata per la Vita che si celebra oggi offre un momento di riflessione su un tema che ha spaccato l’Italia in passato. Ne parla don Diego Puricelli, un presbitero della Chiesa di Belluno-Feltre dal 2018, docente e Dottorando in Teologia Morale e Bioetica alla Pontificia Università Gregoriana (Roma) e attualmente Visiting Scholar al Pellegrino Center for Clinical Bioethics alla Georgetown University (Washington DC).

Un dibattito passato di moda?

«È dal 1979 che la Chiesa italiana celebra questa Giornata. In quel periodo, il clima socio-culturale conosceva una radicale polarizzazione: da una parte c’era il mondo laico, che rivendicava il diritto alla scelta (pro-choice), dall’altra invece il mondo cattolico, che ribadiva la sacralità della vita nascente (pro-life). Due fazioni, l’una contro l’altra armate. Con il tempo le tensioni si sono un po’ stemperate, ma la questione conserva tutta la sua attualità. La posizione della Chiesa al riguardo dell’aborto non è però cambiata ed è stata ribadita più volte in maniera estremamente chiara da papa Francesco: “L’aborto è un omicidio e non è lecito diventare complici”».

Come si difende la vita?

«Cercando, prima di tutto, di abbattere le barricate destra-sinistra e laici-cattolici quando si toccano temi così importanti. La tutela della vita non dev’essere appannaggio esclusivo di qualche schieramento politico o religioso. La vera domanda diventa allora: come fare per evitare la strumentalizzazione ideologica di un tema così delicato? A tal riguardo, quanto sta succedendo negli Stati Uniti dovrebbe seriamente interrogarci».

Il 67,0% dei ginecologi in Italia è obiettore di coscienza, il Veneto registra il 4,2% di interruzioni volontarie di gravidanza ed è una delle regioni con il tasso più basso. Dati che confortano o che mostrano anche l’altro lato della medaglia?

«La questione è interessante. Da alcune indagini antropologiche condotte in alcune città italiane emerge come la religiosità personale concorra solo in parte nell’orientare verso l’obiezione di coscienza. La maggior parte degli obiettori, infatti, considera l’aborto un problema sociale e di salute pubblica. Tuttavia, parte del personale sanitario decide comunque di astenersi dal praticarlo, reputandolo un lavoro “sporco”, poco gratificante, in certi casi rischioso, da scaricare sulle spalle dei colleghi e delle colleghe che ancora se ne assumono la responsabilità. A volte le motivazioni che informano certe scelte etiche sono tutt’altro che moralmente elevate».

Nella relazione annuale sull’Interruzione volontaria della gravidanza regolata dalla legge 194/78 e emerge che il 53,5% degli aborti è stato effettuato entro la 8ª settimana. Il 29,6% alla 9ª-10ª settimana. L’11,4% alla 11ª-12ª settimana e il 5,4% dopo la 12ª.

«In campo scientifico si è cercato di capire in quale momento della gestazione poter praticare l’aborto rispettando comunque degli alti standard etici. Criteri come la comparsa del primo battito cardiaco o la percezione fetale del dolore hanno concorso a vario titolo nel delineare i confini etici dell’aborto e ad informare la giurisprudenza. Un’impresa ardua, dal momento che gli standard etici impiegati sono comunque influenzati dalla cultura, dalla società e dalla politica. Non di rado, poi, le scoperte scientifiche rischiano di essere mal interpretate o strumentalizzate. L’unica cosa di cui possiamo essere scientificamente certi è che fin dal momento della fusione dei due gameti si è costituita l’identità genetica di un nuovo essere umano».

La difesa della vita nascente è solo un ambito della tutela, più ampia, della dignità della vita umana. Cosa può dirci al riguardo?

«Il prossimo mese, in Canada, entrerà in vigore una modifica di legge che consentirà l’accesso all’eutanasia e al suicidio assistito anche alle persone con problemi di salute mentale. Mi chiedo provocatoriamente: basterà una depressione per ottenere il decesso medicalmente assistito? Che dire poi delle questioni relative al femminicidio, al suicidio, all’accoglienza e all’integrazione di chi fugge dalla guerra o dalla miseria, o infine alle recentissime parole del papa a favore della de-penalizzazione dell’omosessualità? Si difende realmente la dignità della vita quando la si considera nella sua interezza, dalla nascita fino alla fine naturale. Insomma: pro-life sì, ma pro-all-life!».

Federica Fant

 

 

 

Da © Il Gazzettino, domenica 5 febbraio 2023, pag. III.

Ringraziamo “Il Gazzettino” che ha autorizzato la pubblicazione su questo sito.