Qualche giorno fa, di primo mattino, mentre la notte delicatamente accendeva l’alba e il paesaggio d’intorno si risvegliava, mi ha raggiunto impellente il pensiero di voi giovani di questa terra di montagna. Seppure non vi conosca tutti, ho desiderato fortemente di potervi incontrare. È un desiderio intenso che porto nel cuore. Di più: tale desiderio mi appartiene, è parte di me. La mia storia ne è molto determinata. Oggi io sono over 65 e forse questo può far pensare a una conseguente distanza generazionale da voi. Eppure ciò che più ha influito in tutta la mia vicenda è stata la vivace e sorprendente presenza delle giovani generazioni che hanno frequentato molto e sempre le strade della mia vita. Non solo perché sono stato adolescente e giovane anch’io: oggi constatarlo non è scontato, anzi è una bella sensazione che provo e che perdura in me. Nei miei pensieri e sentimenti sono solito associare l’essere giovani all’attesa della vita, all’aspettativa del suo manifestarsi giorno dopo giorno.
Tra le mie esperienze più belle posso annoverare il fatto di aver vissuto fianco a fianco, anche da adulto, con tanti giovani, non in incontri sporadici a margine degli altri impegni di vita, ma pienamente coinvolto e immerso in una convivenza spontanea e fraterna, in un’amicizia sempre rigenerata. Oltre la mia stagione giovanile, per altri 18 anni ho potuto godere di questo dono rigenerante, in due residenze universitarie a Roma e a Padova. Se raccontassi di me, dovrei dare la parola a tanti giovani con cui ho vissuto uno o due, tre o quattro o addirittura cinque anni in questa vicinanza. Il mio essere prete è raccontabile così. Mi sta a cuore ricordarlo e confidarlo, mentre anche in questi giorni – per quello che di tragico è capitato – si dibatte ovunque sul non facile vissuto dei giovani.
Il desiderio di stare ancora tra voi è profondo in me. Liberare questo sentimento è come fare verità su di me. Mi azzardo a dirvi che anche la mia vicenda di cristiano e il fatto che mi sia sentito chiamato a essere prete – e poi l’essere vescovo in questa Chiesa di Belluno-Feltre – tutto questo è attraversato e intessuto di tanta amicizia ricevuta e donata con i molti giovani, ragazzi e ragazze con cui ho camminato insieme.
Mi preme dirvi grazie, prima di ogni altra cosa. Quando si parla di voi, immediatamente si desta in me questo sentimento di gratitudine. Quanto ho qui raccontato di voi è stato per me come una spinta continua a farmi avanti nella vita, a cercare di farla crescere, di amarla come dono da accogliere sempre di nuovo e da condividere. In questo modo mi è sembrato di gustarne la bellezza e la bontà. Grazie per quello che avete fatto in me!
C’è un pensiero che è anche un sentimento profondo e delicato a cui volevo accennarvi. È fatto di gioia e di gratitudine. La mia vicenda, compresi tutti i momenti e le circostanze di fatica, di rischio e di dolore attraversati, è stata anche la ricerca di una verità più profonda che mi viene da identificare con l’amore più grande a cui dedicarsi, a cui mai mi sento di essere pervenuto definitivamente e che si fa sentire come un richiamo insopprimibile, una sete insaziabile, un desiderio da non consumare e a cui affidarsi. Inoltrandomi nei racconti e negli incontri del Vangelo sento venire a me ancor più vera, più limpida, più genuina, più affidabile la vita che da voi e con voi ho imparato a desiderare, attendere e condividere.
Posso dirvi di più: quando mi affido a Colui che nel Vangelo si racconta e si offre così: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi darò ristoro. Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita» (Mt 11,28-29), proprio allora mi sembra di essere un giovane, come lo siete voi.
Papa Francesco ha scelto un’espressione biblica per rappresentare e riconoscere voi giovani, lanciandovi anche un appello nella circostanza della Giornata mondiale dei Giovani: «Lieti nella speranza» (Rm 12,12).
È così: grazie!
XXXVIII Giornata mondiale dei Giovani, 26-11-2023
+ Renato, vescovo