“Amen”, espressione di partecipazione al rito

Non solo risposta automatica, ma adesione personale alla celebrazione

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Un articolo di approfondimento in relazione alla parola “Amen” presentato da una rivista di formazione liturgica, mi ha suggerito di ripensare l’uso che di questo termine viene fatto nella celebrazione della Messa.

Parola familiare

Questo termine è sicuramente uno dei più familiari a coloro che partecipano alla santa Messa. La sua familiarità è diventata risposta spontanea, talora automatica, alle espressioni usate dal celebrante. Si nota però che in alcuni casi, nei quali la risposta con questo termine è prevista da parte dell’assemblea, non ci sia un’adesione né totale né qualitativamente significativa. Per questo motivo sembra utile passare in rassegna alcuni momenti nei quali l’utilizzo della parola è proposta ai partecipanti.

Espressione importante nella Messa

L’indicazione dei momenti di partecipazione con questo termine, non è cronologica, ma legata alla importanza del rito che si sta compiendo. L’Amen più significativo è sicuramente quello che conclude il rito chiamato “dossologia”. Il celebrante elevando verso l’alto il calice con il vino-sangue di Cristo e il piattino con il pabe-Corpo di Cristo, pronuncia o canta la espressione ben familiare ai partecipanti: «Per Cristo con Cristo e in Cristo a te Dio Padre onnipotente nell’unità dello Spirito Santo ogni onore e gloria per tutti i secoli dei secoli». Questa espressione che accompagna l’offerta del Cristo, è chiamata con termine tecnico “dossologia”. La risposta “Amen” a questo rito, non raramente con le parole eseguite in canto, è uno dei più centrali e solenni di tutta la Messa. La presenza di un coro che canta insieme all’assemblea, talora esegue l’Amen con una ripetizione polifonica che ne sottolinea e richiama la solennità. Anche quanto non c’è canto, ma solo la voce del celebrante, la qualità della risposta dell’assemblea è significativo che sia apprezzabile, sia per il tono della voce che per il numero di coloro che, tra i presenti, partecipano al rito. Non sempre questo si nota, forse per un momento di stanchezza, di distrazione o di non conosciuta importanza. Il momento viene indicato dall’Ordinamento generale del Messale romano (79/H) con l’espressione: «La dossologia finale (rispetto alla preghiera eucaristica, ndr): con essa si esprime la glorificazione di Dio; viene ratificata e conclusa con l’acclamazione del popolo: Amen». A voce o in canto dovrebbe essere acclamazione, non solo flebile voce. Più sentito e partecipato, generalmente, è l’Amen a conclusione delle preghiere (colletta, sulle offerte, dopo la comunione. L’abitudine e un certo automatismo rispetto all’espressione che conclude le singole preghiere, fa sì che quest’adesione alla preghiera sia ben manifestata. L’ordinamento sopra ricordato esprime così il significato della risposta, ripetendo per ognuna delle preghiere lo stesso concetto: «Il popolo, unendosi alla preghiera, fa propria l’orazione con l’acclamazione: Amen».

Un altro momento nel quale questo termine diventa espressione forte e significativa per chi la pronuncia è quello del momento della comunione. I partecipanti alla Messa erano abituati a una risposa “Amen” che era espressione di fede personale nei confronti dell’Eucaristia della quale stavano per nutrirsi. In questo ultimo periodo, condizionato dalle normative dettate dalla pandemia, la presentazione del Corpo (e del Sangue) di Cristo non è più individuale, ma comunitaria. Il sacerdote presenta l’Eucaristia a tutta l’assemblea, che risponde coralmente, acclamando: «Amen». Il sacerdote poi consegna ai presenti, al loro posto o in fila ordinata e distanziata, la comunione. L’acclamazione, espressione di fede, comunitaria e a chiara voce rende superflua una risposta individuale borbottata. Fino ad indicazione ufficiali che ripristino la modalità tradizionale, questo è il modo di distribuire l’Eucaristia nella Chiesa italiana.

Un utilizzo dell’Amen da parte della assemblea è quello che conclude la benedizione impartita dal celebrante. Soprattutto la triplice formula utilizzata in alcune circostanze solenni, richiama l’adesione-partecipazione dei presenti con l’acclamazione. A ogni invocazione sia rivolta al Padre, poi al Figlio e infine allo Spirito Santo, come altre invocazioni di benedizione, trovano nella risposta dei presenti l’espressione di un’adesione e di una partecipazione che è significativa ed importante nella dinamica celebrativa.

Origine e significato del termine

Il termine “Amen” nella sua origine ebraica, prima del suo utilizzo nella ritualità liturgica cristiana, è molto vario e denso di significati. I testi biblici lo confermano. Indico come apprezzabile l’articolo richiamato all’inizio. Lo riporta la rivista di liturgia “La vita in Cristo e nella Chiesa” nel numero di settembre-ottobre 2021 nella rubrica “Parole ebraiche”, a opera di Maria Piana Scanu. Riporto la conclusione dell’articolo che offre una riflessione teologica importante sul significato dell’utilizzo di questo termine nella nostra Liturgia. «Così, non si tratta di una semplice formula di assenso alla preghiera, o una mera conferma di principi o convinzioni. Bensì si attende che la persona nella preghiera e la comunità liturgica, nel rispondere Amen esprimano con fiducia e speranza il riconoscimento di Dio fedele alle sue promesse, e l’accettazione dell’insegnamento di Dio, nella parola e nelle azioni quotidiane della vita, unendosi alla testimonianza autentica resa dal Messia Risorto che trasforma la storia umana».

Giuliano Follin