Chiude il laboratorio missionario di Santo Stefano

Molte le persone raggiunte con un aiuto in 38 anni di attività

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È la prima volta che entro in casa sua. Di solito Antonietta veniva all’Ufficio missionario, ma questa volta ci siamo accordati così. È strano visitare il luogo dove vive una persona che conosci da molti anni, è come conoscerla nuovamente, incontrare la sua parte più intima. È lì che mi aspetta sulla soglia della porta, con il sorriso che sempre l’ha accompagnata in questi anni.

Mi accomodo su una sedia e lei mantiene la distanza imposta dalle norme di contenimento della pandemia. Mi chiede come sto e subito dopo mi chiede dei nostri missionari. Racconto le ultime novità, di don Augusto che è arrivato all’Ufficio missionario, di padre Giuseppe Detomaso che è in Italia per un periodo di riposo e di altre notizie che mi fanno viaggiare da un continente all’altro.

Mi ascolta attentamente e poi mi guarda e dice: «Abbiamo deciso che il laboratorio missionario di Santo Stefano chiuderà». Rimango in silenzio in attesa di un suo commento. Il suo sguardo è sereno. Mi racconta delle difficoltà legate all’età, di come la decisione sia stata presa con le persone che in questi anni si sono dedicate a questo impegno missionario. Trentotto anni, questo numero continua a risuonarmi in testa. Trentotto anni sono tanti, sono tante settimane, tanti giorni… Molte persone raggiunte con un aiuto. Nel corso degli anni ho avuto la possibilità di visitare il loro laboratorio, era un sottotetto posto nei locali adiacenti alla chiesa parrocchiale di Santo Stefano in centro a Belluno. Tante scale per raggiungere questa stanza, una porta di legno e poi venivi circondato da appendini per abiti, scatoloni, oggettistica ricamata a mano e un gruppo di donne impegnate ognuna nella loro mansione. Nell’ultimo decennio ricordo che le scale e l’atrio che precedevano la stanza si erano impreziositi di persone che chiedevano qualche vestito, alcuni per il freddo, altri per avere un ricambio che non avevano, altri per vestire i loro bambini.

Un giorno fui colpito da un incontro lungo queste scale, un uomo alto e prestante saliva con in mano questi pacchi colmi di rifornimenti e mi precedeva di qualche metro. Lo guardai e lui mi salutò gentilmente. Arrivati entrambi nella mansarda mi fu presentato. Dall’accento capii che non era italiano, e la sua carnagione me lo fece posizionare idealmente in una zona tra il nord Africa e il Medioriente. Parlammo poco, perché il suo compito di alleggerire il lavoro alle signore del Laboratorio gli imponeva di continuare a trasportare questi scatoloni. Venni a sapere dopo che questo uomo di religione musulmana, era un volontario e che ogni settimana dedicava questo tempo alla solidarietà. Rimasi molto colpito da questo incontro e ancora di più da come queste donne avessero tessuto questo legame con lui.

Antonietta mi guarda e apre un diario: è consunto, avrà molti anni. Un foglio racchiude le ultime offerte destinate ai nostri missionari. Di ognuno di loro conosce le loro storie, a volte legate a un semplice incontro avvenuto molti anni fa, altre invece avvolte da un rapporto di conoscenza profonda. Riguardo la copertina di quel diario, è veramente consumata e la cura che usa per sfogliarlo è proporzionata al valore che in esso custodisce. Antonietta mi guarda e io guardo lei, sono ammirato dalla sua dedizione e di tutto il bene che queste donne hanno portato oltre oceano e qui nel nostro territorio. Un po’ mi ricorda il lampionaio del Piccolo Principe: «…quest’uomo sarebbe disprezzato da tutti gli altri, dal re, dal vanitoso, dall’ubriacone, dall’uomo di affari. Tuttavia è il solo che non mi sembri ridicolo. Forse perché si occupa di altro che non di sé stesso». Grazie donne del Laboratorio missionario di Santo Stefano.

Jose Soccal