Per molto tempo la Storia della Chiesa si è occupata dei vertici, cioè papi e vescovi, degli ordini religiosi, delle grandi dispute teologiche, dei concili ecumenici, delle istituzioni canoniche. È solo dalla seconda metà del Novecento che ha cominciato a studiare il vissuto religioso della porzione più numerosa del popolo di Dio: i fedeli.
Uno degli aspetti della vita dei fedeli sono le forme devozionali in cui essi esprimono e vivono la propria fede. Visto che ci troviamo nel mese di ottobre, è bene scoprire un po’ la storia di una delle devozioni più diffuse tra i cristiani: la preghiera del rosario.
Nella storia di questa pratica sono da distinguere due periodi. Il primo va dal XII secolo, quando fa la sua prima comparsa questa forma di preghiera, sino a papa Pio V (1566-1572), che con una prima bolla consacrò il rosario in quella forma che ancor oggi è praticata e con una seconda bolla istituì la festa del 7 ottobre. Questo primo periodo è il tempo della lenta evoluzione del rosario verso la forma che oggi conosciamo.
Il secondo periodo decorre dalla fine del Cinquecento: si moltiplicano i pronunciamenti dei papi su questa preghiera, le confraternite del rosario diventano una delle più tipiche aggregazioni dei fedeli all’indomani del concilio di Trento, la stessa arte sacra celebra questa devozione.
La recita di quello che in seguito verrà chiamato rosario, nasce nel secolo XII nei monasteri. Nelle comunità monastiche vi era una buona porzione di monaci illetterati, i cosiddetti conversi, i quali non erano in grado, come gli altri monaci, di recitare i salmi nelle diverse ore canoniche. A quel tempo i monaci, nelle diverse ore canoniche, cantavano ogni giorno l’intero salterio, cioè tutti i salmi che sono 150. I conversi non essendo in grado di cantare i salmi, in quanto incapaci di leggere, recitavano ogni giorno 150 volte il Padre nostro oppure 150 volte l’Ave Maria; questa preghiera litanica era considerata un salterio sostitutivo in quanto il numero di 150 Ave Maria corrisponde al numero dei salmi; ragion per cui che questa preghiera era chiamata Psalterium Beatae Virginis Mariae (Salterio della beata vergine Maria).
Da notare che fino alla seconda metà del Duecento l’Ave Maria consisteva nella sola prima parte, vale a dire delle sole parole evangeliche pronunciate dall’Angelo Gabriele e dalla cugina Elisabetta. Fu a partire dalla fine del XIII secolo che si diffuse l’aggiunta della seconda parte: «Santa Maria, Madre di Dio, prega per noi peccatori ora e nell’ora della nostra morte». Essa è indice di una chiara preoccupazione per la propria salvezza che caratterizzò particolarmente il sentire dei cristiani vissuti in un secolo di ferro quale fu il Trecento, funestato da carestie, pestilenze e guerre sanguinose.
Nel corso del Trecento, il certosino Enrico di Kalkar operò un’organizzazione in questa preghiera litanica del Salterio di Maria, dividendo le 150 Ave Maria in 15 decine. Ogni decina era intercalata dalla recita del Padre nostro.
È in questo secolo che sorse la credenza che fosse stato san Domenico (1170-1221) a inventare il rosario. La verità è che, nel corso del Duecento, san Domenico e i primi domenicani ebbero il merito di far uscire questa preghiera mariana dai chiostri e di insegnarla ai fedeli laici. Laddove i domenicani predicavano, si preoccupavano di far nascere delle confraternite mariane, nelle quali gli associati si impegnavano alla recita quotidiana del rosario. San Pietro da Verona (1205-1252), uno dei primi discepoli di san Domenico, fu molto solerte a far nascere queste confraternite nel Veneto occidentale e in Lombardia.
Un grande apostolo del rosario fu il domenicano Alain de la Roche (1428-1475), noto anche con il nome italianizzato di Alano della Rupe. Egli era originario della Bretagna, dotto teologo fu impegnato tanto nell’insegnamento universitario che nella predicazione itinerante. Operò instancabilmente per la diffusione del rosario tra i fedeli; nel 1475, anno della sua morte, portò a termine il primo trattato spirituale sul rosario Apologia del Salterio di Maria. Nell’ordine domenicano venne stabilito che ogni novizio doveva leggere questo libro nell’anno di noviziato.
Questa preghiera ripetitiva delle Ave Maria, non comportava ancora il riferimento e la meditazione di misteri della vita di Gesù. Ancora una volta si deve ad un certosino questo nuovo perfezionamento del “salterio mariano”. Ma in cosa consistette questa seconda importante innovazione uscita dalle Certose lo vedremo nel prossimo numero.
don Claudio Centa
(1-continua)
Nella foto: ROGIER VAN DER WEYDEN, Ritratto di Philippe de Croÿ, 1460, Anversa, Museo reale di Belle Arti. In questo dipinto dell’arte fiamminga possiamo vedere tra le mani del potente nobile e condottiero il cosiddetto Pater noster, antenato della corona del rosario: una cordicella con nodi o, come in questo caso, con sfere di materiali preziosi.