Don Albino «ha raccontato così Dio. Ha tratteggiato in pennellate intense e comprensibili l’essere desiderabile di Dio, la sua incondizionata bontà, la sua presa diretta sulla semplicità, povertà, vulnerabilità, umiltà, autenticità del cuore di questa nostra umanità». È uno dei passaggi salienti con cui il vescovo Renato ha ricordato papa Luciani, durante la celebrazione per il 43° anniversario della morte. Per gli anni passati questo anniversario portava la nostra diocesi in pellegrinaggio a Roma, per una celebrazione nelle Grotte Vaticane. Le restrizioni sanitarie hanno sconsigliato anche per quest’anno l’indizione del pellegrinaggio. Il ricordo si è tenuto comunque, nella chiesa del paese natale: «Era iniziato da qui, da Canale d’Agordo, da questa comunità e dalla famiglia dei Luciani questo aprire ed estendere la sua piccola e singolare storia “Verso un noi sempre più grande”», ha detto il Vescovo richiamando il tema della 107ma Giornata Mondiale del Migrante e del Rifugiato, da poco celebrata.
Commentando i brani della Scrittura assegnati al liturgia del giorno – laddove i discepoli Giacomo e Giovanni chiedono a Gesù, se voglia punire uno sgarbo dei samaritani con «un fuoco dal cielo» che li consumi» – il Vescovo ha ricordato un brano delle lettere agli “Illustrissimi” , nel quale il patriarca Luciani si rivolge a Charles Péguy e scrive: «Non è mai troppo tardi: Dio non solo si chiama Padre, ma padre del figliol prodigo, che ci scorge quando siamo ancora lontani, che si intenerisce e, correndo, viene a gettarsi al nostro collo e a baciarci teneramente. E non deve spaventare un eventuale passato burrascoso. Le burrasche, che furono male nel passato, diventano bene nel presente se spingono a rimediare, a cambiare; diventano gioiello, se donate a Dio per procurargli la consolazione di perdonarle». È l’immagine di Dio che i cristiani non devono dimenticare, irrigidendosi magari come fecero i due discepoli fratelli del Vangelo.
Sulla stessa linea l’aneddoto di cui si servì papa Luciani il 20 settembre 1978, per spiegare la speranza cristiana durante l’Udienza generale del mercoledì: «Ho risposto una volta, tanti anni fa, a una signora sconosciuta, che si confessava da me […]. Lasci perdere il passato, pentita com’è, si proietti all’avvenire, cambi con l’aiuto di Dio la sua vita. Vedrà, sarà tutto cambiato. E, in quella occasione, le ho citato un mio autore preferito, san Francesco di Sales, il quale parla delle “nostre care imperfezioni”. Imperfezioni, ma care. E spiegai: Dio detesta le mancanze, in quanto sono mancanze. Però, sotto un altro aspetto, Dio ama le mancanze perché sono occasione a Lui di mostrare la sua misericordia e a noi di tenerci bassi, di esser umili, di capire e compatire le mancanze degli altri».
È un nucleo centrale nella testimonianza del venerabile Giovanni Paolo I: «“Avere Dio” così» – ha concluso don Renato – «è vita, è salvezza, è speranza per noi!». Prima della benedizione, il Vescovo ha raccolto e dato voce all’auspicio e al desiderio di tutti i presenti: che presto si possa venerare don Albino come “beato”. [DF]