Esperienza da archiviare o risorsa?

Riflessione sull’esperienza della terza forma della Riconciliazione con l’assoluzione collettiva

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Le norme emanate durante la pandemia hanno permesso alle comunità cristiane di scoprire una forma della penitenza, che fin dal 1972 era presente nei libri liturgici, ma che nei decenni successivi era stata lasciata nel cassetto: è la terza forma del sacramento della Riconciliazione, comprendente l’assoluzione sacramentale in forma generale e collettiva.

Se il Concilio era stato piuttosto laconico – «Si rivedano il rito e le formule della penitenza in modo che esprimano più chiaramente la natura e l’effetto del sacramento» (Sacrosantum Concilium 72) – più coraggiose erano state le commissioni che avevano preparato il nuovo rituale, anche se avevano dovuto confrontarsi, a volte duramente, con i paladini della tradizione, abbarbicati alla forma sancita nel 1614, la confessione individuale a cui tutti siamo stati abituati. La lungimiranza e la pazienza di Paolo VI avevano permesso l’introduzione di questa terza forma, per decenni sperimentata soltanto da poche conferenze episcopali.

Ma nel dicembre 2020 anche alcune Conferenze Episcopali regionali, tra cui quella del Triveneto, hanno ritenuto permettere questo tipo di celebrazione. La possibilità si è ripetuta per la Pasqua e il Natale degli anni successivi. La risposta dei fedeli è stata incoraggiante.

Un bilancio diocesano

Giovedì 23 febbraio scorso, il Vescovo ha voluto incontrare i parroci che, in preparazione all’ultimo Natale, avevano chiesto di poter ancora usufruire di questa possibilità, per sentire il polso di questa “sperimentazione forzata”. È stato detto: «Ho gustato tanto, fino alla commozione, i momenti di richiesta di perdono con la preghiera litanica durante la quale mi sono sempre posto in ginocchio davanti all’assemblea, rivolto al Crocifisso, peccatore con i peccatori, bisognoso di perdono insieme agli altri, membro dell’unica comunità. E nello stesso tempo per mandato della Chiesa vengo chiamato ad un certo punto ad alzarmi, a pregare sopra gli altri e dire le parole solenni dell’assoluzione. Lì dico “voi”, sono di fronte agli altri fedeli e percepisco la grazia di essere prete per loro». Significativo anche il clima di gioia che si è percepito dopo le celebrazioni: «gente che si trattiene, si parla, si saluta e aspetta anche il parroco!».

Altri hanno evidenziato come questo tipo di celebrazione dia maggiore evidenza alla dimensione comunitaria del sacramento. È parso significativo il fatto di trovarsi come comunità che dichiara il proprio bisogno di essere perdonata e manifesta la volontà di riprendere il cammino e di migliorare insieme: «Alcune famiglie che hanno vissuto appunto insieme – coniugi e anche figli – la celebrazione, hanno sentito molto questo aspetto».

Un bilancio accademico

Un secondo momento di riflessione si è avuto lunedì 27 febbraio presso la Facoltà teologica del Triveneto di Padova, durante la giornata di studio indetta dalla Facoltà, dall’Istituto di liturgia pastorale e dalla Facoltà di diritto canonico di Venezia. Il titolo della giornata era accattivante: «Ripensare la prassi penitenziale. La terza forma della penitenza: esperienza da archiviare o risorsa?». Vi hanno partecipato anche alcuni preti e un insegnante di religione della nostra diocesi.

La prima sessione dell’incontro ha gettato uno sguardo pastorale e sociologico sul vissuto degli ultimi anni, in cui la pandemia stessa ha posto l’umanità intera e anche la Chiesa in uno stato penitenziale, che è stato ben interpretato dal rito comunitario dell’assoluzione. Dalle relazione è emersa l’istanza di non lasciare cadere quanto vissuto, perché lo scemare dell’emergenza pandemica non comporti un semplice ritorno alla situazione precedente, dove la crisi del 4° sacramento era già stata segnalata come allarmante. Limitare l’esperienza penitenziale alla sola forma individuale pare un impoverimento, anche perché è percepita dalla maggioranza dei fedeli come una forma di controllo delle coscienze.

Nella seconda sessione della giornata si sono avvertite le differenze tra l’analisi teologica e quella canonistica. Il teologo don Alessio Dal Pozzolo di Vicenza ha dato evidenza ad alcune istanze emerse durante la pandemia, non ultimo il fatto che alcune regioni ecclesiastiche abbiano avuto il coraggio di avventurarsi in un territorio che altre non hanno osato esplorare. In tutta risposta, il canonista don Pierpaolo Dal Corso ha un po’ “gelato” i presenti, richiamando le limitazioni previste dalle varie norme. Nella terza sessione, lo spunto più significativo è stato offerto da don Roberto Bischer, che ha ricordato come l’assoluzione assomigli a quanto in antico era la riammissione nella comunità, dove comunque si rimane chiamati a un costante cammino di conversione.

Il bilancio è positivo: l’esperienza della terza forma è stata un fecondo punto di partenza, che segnala il bisogno di camminare ancora. Non un’esperienza da archiviare dunque, ma una risorsa da cui partire, per ripensare la prassi penitenziale, ossia i modi con cui nella Chiesa si chiede perdono per gli inevitabili errori della vita. [DF]