A cura di don Renato De Vido (domenica 13ª del tempo ordinario - anno A)

Essere degni di lui

Il cristianesimo non sottrae amori al cuore affamato dell’uomo, aggiunge un “di più”

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«Chi ama padre o madre, figlio o figlia più di me, non è degno di me». È questa, di solito, la frase che fa colpo subito per la sua cruda originalità. Ma, per un momento, valutiamo la pena connessa all’invito: “Non è degno di me”. Dunque, a cercare bene il tema di tutto il vangelo odierno, lo troviamo esattamente qui: “essere degni di lui”.

1. Fermiamo l’attenzione su una parola che è ripetuta tre volte: degno. Gesù insiste su: “non è degno di me”. Allora chi potrà mai esserlo di te, Signore? Stai instaurando una competizione nel cuore, una gara di emozioni, da cui si sa che non usciremo vincitori?

Per capire il significato della parola di Gesù, dobbiamo fare una piccola fatica linguistica. Noi – almeno noi italiani – usiamo “non sei degno di me” come se si volesse mettere un dislivello tra me e l’altro. Una sfumatura della lingua che dice tanto.

La lingua del vangelo indica semplicemente quello che abbiamo visto fare tante volte dai fruttivendoli di una volta, una piccola magia del mercante per controbilanciare e risalire al peso reale della merce: mettere i pesi finché la bilancia fosse in equilibrio.

Gesù si adatta a compiere simbolicamente la medesima azione tra i massimi valori, come l’amore ai genitori e ai figli, e la sua persona: trovare il giusto equilibrio, anzi l’equivalenza.

2. Allora la frase di Gesù la si può rilanciare così: “fate bene i conti tra i valori dello spirito, e troverete in me il massimo dell’equivalenza; se no, vuol dire che non mi tenete in debita considerazione”.

Già anche amando umanamente noi sentiamo benissimo com’è bello controbilanciare, pareggiare, contraccambiare l’amore dell’altro. Questa è una regola che abbiamo nel cuore, e allora riusciamo a intuire la pienezza della parola di Gesù, questo appassionato amante dell’umanità.  Non si tratta di essere degni davanti a lui, perché sappiamo che non lo siamo, ma, con il suo aiuto, di controbilanciare ciò che Gesù ha già fatto per me e sta facendo per me. Entriamo nell’universo dell’amore, dove ci muoviamo tutti più a nostro agio.

3. Il nostro tasso di cristianesimo, cioè il nostro rapporto pratico con Gesù Cristo, sta nel rispondere all’amore. Ma allora il cristianesimo richiede un amore fanatico?

Ci può essere una religiosità cristiana che è lontana da questa reale economia. Noi possiamo avere delle ottime abitudini cristiane, possedere una certa infarinatura di catechismo, avere le nostre pratiche religiose, avere perfino una predisposizione naturale al sacro; ma tutto questo non è ancora il voler ricambiare la persona di Gesù risorto.

Qualcuno potrebbe dire che la vita è fatta di tante altre cose. È vero, ma bisogna imparare a distinguerle, non per separarle, ma per andare all’essenziale, perché il cristianesimo resta vivo grazie a parole come quelle che stiamo meditando. Non sottrae amori al cuore affamato dell’uomo, aggiunge invece un “di più”, non limitazione ma potenziamento.

Come se dicesse: Tu sai quanto è bello dare e ricevere amore, quanto contano gli affetti dei tuoi cari per poter star bene. Ebbene, io posso offrirti qualcosa di ancora più bello.