A cura di don Ezio Del Favero (5ª domenica di Quaresima - anno B)

Il chicco di grano

«Se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto».

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Primavera speranza

Ciò che accade in natura, dove l’inverno prepara la primavera, accade nelle persone. Giuseppe Ungaretti: «Inverno. Come un seme il mio animo ha bisogno del lavoro nascosto di questa stagione». Se l’infanzia ha un valore umano così meraviglioso, è perché i genitori hanno seminato il meglio. Se una parola si presenta a un’altra persona e lascia un segno virtuoso, è perché qualcuno ha saputo parlare. Se la vita ha una qualità così grande, è perché qualcuno, spesso di nascosto, ha offerto tutto il suo essere per arricchirla.

La primavera, frutto dell’inverno, è forse la più desiderata delle stagioni: esplosione di vita, sorpresa, novità, risveglio felice, ripartenza, reinventarsi, amarsi e donare. La primavera siamo noi quando al tramonto consideriamo il mattino, quando non pensiamo a noi stessi ma agli altri, quando desideriamo avanzare nella vita verso un obiettivo, quando dopo il silenzio “invernale” realizziamo nuove azioni e nuovi sorrisi, quando pazientemente speriamo…

Un chicco di grano…

Mentre lo trasportavano in un sacco – si racconta – un chicco era scivolato fuori da un buchetto ed era atterrato su una strada tra la polvere e le pietre. Un corvo lo prelevò per portarlo nella sua tana, sull’albero più alto della campagna. Ma mentre volava tra le zampe del rapace, il chicco riuscì a fuggire tra gli artigli, atterrando nel mezzo del campo. La soffice terra lo accolse, dandogli rifugio e calore e calmando i timori e la tristezza del precedente atterraggio tra le pietre. Pensò ai suoi compagni, che stando insieme erano senz’altro felici. Poco dopo gli spuntarono, sotto, come dei piccoli fili, che cominciarono a muoversi nel terreno. Poi sentì fluire in sé la linfa, veicolata dalle radici fino alla parte più profonda del suo essere. Non senza sofferenza la sua armatura si frantumò e si sentì come libero, pur avvolto nel buio. Quando spuntò, gli sembrò di avere come delle ali che lo conducevano oltre la superficie del campo, su nel cielo. E man mano vide la sua trasformazione, in fusto, foglie e poi spiga colma di chicchi simili a lui. Pensò: «Senza la caduta sulla strada polverosa, la perdita dei miei compagni, il corvo dalle unghie ricurve, la “fine” nella sepoltura, non avrei sentito il respiro della terra che mi ha spinto fin quassù e non avrei sperimentato che crescere significa provare paura e tritezza, ma anche gioia e tanta soddisfazione!» 

Il seme è un tempio

 «Se il chicco di grano caduto in terra muore, produce molto frutto». Nella Storia della Salvezza Gesù vivrà tutto il percorso del chicco: il terreno che accoglie il seme (l’umanità), la mano del seminatore (il Padre), l’inverno che in silenzio e lentamente pianta le radici, la primavera che lo fa esplodere, l’estate che lo matura fino al raccolto, che potrà essere di tanti se abbondante. Gesù sarà il chicco che muore e darà frutto, come le stagioni del seme, dall’attesa, alla nascita, alla morte, al fruttificare “molto” per tutta l’umanità e per sempre.

Nella simbolistica cristiana, oltre al chicco di grano, è adottato l’uovo, per cui l’idea (ancestrale) del guscio in cui risiede il germe della vita passa a significare il sepolcro dal quale Cristo Risorge, producendo molto frutto.

L’argentino Eise Osman scriveva: «La semilla es un templo donde habita Dios». Il seme è un tempio…

 

Per riflettere
  • Siamo convinti, secondo l’insegnamento del Maestro, della forza del piccolo seme, amore e dono?
  • Per noi, il seme e la croce diventano via per seguire Gesù, vederlo nella vita quotidiana e imitarlo nei piccoli e quotidiani gesti di amore?