D'intesa con i colleghi della Conferenza Episcopale Triveneto

Il Patriarca chiede che siano permesse le celebrazioni liturgiche

Due interventi su Radio Vaticana e sul Corriere della Sera

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Tramite il Patriarca di Venezia, presidente della Conferenza Episcopale, i vescovi delle 15 diocesi del Triveneto hanno chiesto che siano allentate le restrizioni sanitarie che limitano l’attività pastorale nelle chiese. Infatti, di fronte alla limitazione del numero massimo di 15 persone per la partecipazione alle celebrazioni, da parte di molte persone si è levata l’obiezione che questa limitazione non è stata prevista per gli esercizi pubblici.

Il Patriarca di Venezia, sentiti i confratelli del Triveneto, si è fatto interprete della richiesta, rilanciata ieri da Radio Vaticana (può essere ascoltata cliccando qui). Ne riportiamo sotto il testo.

Lo stesso Patriarca, in un’intervista al Corriere della Sera, ha ribadito: «Qualcuno ha fatto emergere la contraddizione tra le Messe sospese e palestre e mercati aperti […] È un tema che ho già affrontato con il governatore Zaia, sempre collaborativo e capace di comprendere il nostro disagio. Dipenderà molto dai numeri dei contagiati, ma è necessario che si trovino dei momenti in cui la comunità ecclesiale a livello di parrocchie e di unità pastorale possa pregare assieme. Non penso che le Messe feriali ad esempio, visto la frequentazione non eccessiva, possano rappresentare un problema. Troviamo delle regole di partecipazione comune: il numero di persone, delle messe, i presidi igienici alle porte delle chiese. È di difficile comprensione vedere mercati, palestre, piscine, anch’essi luogo di incontro e di aggregazione, aperte e le Messe sospese. Per questo a nome della Conferenza episcopale del Triveneto chiederò che da lunedì prossimo ci siano delle possibilità di preghiera comune» .

Sono così rassicurati quanti hanno obiettano di fronte alle porte chiuse delle chiese: i vescovi hanno accolto le loro istanze. Ma è altrettanto chiaro che le disposizioni cambieranno solo con la risposta delle Autorità.

 


(da www.vaticannews.va)

Continua in Italia – dopo la Cina tra i Paesi più colpiti dall’epidemia del corona virus – la triste conta delle vittime: 14 i morti e 528 i contagiati, ma anche è importante sottolineare le guarigioni: 37 in Lombardia, la regione con maggioranza di casi, oltre ai 3 già registrati a Roma, come ha informato stamane il capo della Protezione Civile, Angelo Borrelli. Va pure ricordato che solo lo 0,1 dei comuni italiani è al momento coinvolto nell’epidemia, mentre le persone costrette in quarantena rappresentano lo 0,089 della popolazione totale, ha evidenziato il ministro degli Esteri Luigi Di Maio, parlando alla Stampa estera.

Il suono delle campane segno di vicinanza e speranza

Tra le città, che stanno soffrendo severe misure restrittive per la popolazione è Venezia, dove sono state vietate anche le Messe pubbliche. Da qui la decisione presa dal patriarca Francesco Moraglia, di far suonare a distesa le campane, ieri nel Mercoledì delle Ceneri e nella prima domenica di Quaresima, il prossimo 1 marzo. Un modo per dare un segnale di vicinanza della Chiesa e di speranza a tutti i cittadini.

R. – Al di là delle celebrazioni trasmesse con i social, con le reti televisive che si sono rese disponibili, si è scelto questo segno delle campane che indicano qualcosa che appartiene alla comunità ecclesiale nella città. Il suono delle campane voleva indicare ieri l’inizio della Quaresima in un momento in cui la Chiesa purtroppo non ha potuto unirsi comunitariamente e, nello stesso tempo, il suono della campana ritma i momenti importanti della vita di una comunità. Allora voleva essere un richiamo alla speranza, in un momento in cui alcuni si fanno prendere dalla paura. Speranza nel fatto che c’è un futuro, che dobbiamo confidare nella fede e impegnare tutte le nostre energie per riuscire a venir fuori da questo periodo critico, anche perché Venezia già esce da un’altra fase difficile, tre mesi fa con l’acqua alta che l’ha messa in ginocchio. E, quindi mi sembrava un segno importante per la Chiesa, di presenza di una comunità ecclesiale che vuole bene alla città, che è interessata alla città e che rivendica questa visibilità. E la rivendica non in senso di potere ma in senso di presenza significativa nei momenti difficili e di sofferenza, quindi anche di vicinanza ai malati, agli infermieri, ai medici, alle autorità pubbliche, che in diversi modi sono impegnate a contrastare questa situazione di difficoltà.

Sicuramente è importante ritrovarsi per i fedeli dentro una chiesa a pregare insieme. Lei trova questo divieto alle Messe pubbliche di eccessiva prudenza?

R. – Io non metto in dubbio le scelte prese dall’autorità ma faccio notare che altri luoghi di aggregazione come palestre, piscine, centri commerciali, mercati rionali non hanno avuto queste restrizioni. Quindi anche a nome dei vescovi del Triveneto, in quanto presidente della Conferenza episcopale della regione, avendo colloquiato telefonicamente ieri, uno ad uno, con i 15 vescovi, io nelle prossime ore mi farò parte diligente con l’autorità pubblica, quindi soprattutto con la regione, per dire che vogliamo nel rispetto del bene comune trovare strade condivise per poter fare in modo che le nostre comunità si incontrino nel momento soprattutto dell’Eucaristia. E di poter avere anche quelle attenzioni, quei protocolli, quelle regole igieniche che possono essere condivise con l’autorità, come i presidi sanitari all’inizio della chiesa o il numero consigliato di partecipanti. Si possono trovare modalità condivise, rispettose del bene comune ma nello stesso tempo che permettano nel tempo di Quaresima, così essenziale nella vita della Chiesa, di poter avere anche il bene della celebrazione eucaristica. Ieri sera citavo i cristiani dei primi secoli che dicevano: “senza il giorno del Signore, cioè senza l’Eucaristia, noi non possiamo vivere”. Questo penso che sia valido oggi per noi come ieri per loro.

Cosa potrebbe accadere se lo sconforto prendesse il sopravvento nelle popolazioni più colpite dal Coronavirus?

R. – Lo scoraggiamento è quell’atteggiamento della persona che azzera tutte le possibilità, le risorse sia dei singoli sia delle comunità. Quindi io credo che dobbiamo essere realisti nel guardare un problema concreto da non sottovalutare ma, nello stesso tempo, ricordarci e ricordare agli altri che l’allarmismo e la paura non aiutano ma complicano le situazioni. La gente veneta, le terre venete, la città di Venezia sono abituate a combattere con le avversità. Credo che la sfida di Venezia sia quella di rimboccarsi le maniche con molta serenità guardando anche alle capacità che la sua gente ha. E’ anche una terra tradizionalmente di fede e forse questo può essere anche un aiuto per ritornare a quella fede che non guarda il futuro come una fuga, ma che guarda il presente come un cantiere per elaborare il futuro.