Ognuno di noi vive momenti unici nella sua vita: il primo bacio, l’esame di maturità, il giorno del matrimonio o il giorno in cui si diventa papà o mamma, o – nel caso dei preti – l’ordinazione sacerdotale… Momenti intensi, che sanciscono un passaggio, una crescita, un cambiamento. Momenti che sono segnati da persone che incontriamo, che lasciamo, che entrano nella nostra vita in modo nuovo e decisivo; momenti di cui solo dopo tanto tempo riconosciamo l’importanza; momenti che appartengono al tesoro che è la vita di ciascuno di noi. Momenti di cui il tempo non riesce a cancellare l’importanza, che continuano a riversare luce nella quotidianità a volte faticosa, che abbiamo bisogno di ravvivare e di rivivere.
La festa che celebriamo oggi, conosciuta popolarmente con il nome latino di “Corpus Domini“, nasce da un momento che i discepoli – fin dai primissimi passi della Chiesa – hanno vissuto come decisivo: la consegna, da parte di Gesù, del pane e del vino ai suoi prima di essere consegnato e di morire. È la festa dell’umiltà: Paolo afferma di trasmettere semplicemente quello che ha ricevuto, senza aggiunte, senza spiegazioni, senza inutili orpelli. Nel gesto del pane spezzato e del vino versato, un gesto che ci viene donato gratuitamente, riconosciamo la vicinanza di Dio, la sua presenza, il suo desiderio di continuare a vivere accanto a noi.
È la festa di un modo nuovo di essere uomini e donne, chiamati non a comperare generi alimentari, ma a condividerli: è straordinario il racconto evangelico, che ci mette di fronte alla stanchezza dei discepoli – in cui possiamo senza paura riconoscerci –, al loro tentare di risolvere la situazione in modo pratico, ma forse non radicale. Siamo assetati e affamati non primariamente di pane, ma anzitutto di relazioni, di amore, di presenze: Gesù, messo davanti al problema del cibo che non c’è, quasi paradossalmente chiede che le folle possano sedere, possano riposare. A piccoli gruppi, perché sia favorito lo scambio, l’amicizia, l’interesse reciproco. Solo il dono dei discepoli, che amplifica e sottolinea il dono della benedizione divina, riuscirà a sfamare le folle, in maniera esagerata e sovrabbondante. Non si parla di un miracolo prodigioso: Luca annota che i discepoli distribuiscono i pani e i pesci che Gesù ha spezzato.
È la festa dell’autenticità coinvolgente dell’amore: la pandemia ci ha privato di una delle manifestazioni caratteristiche di questa festa, delle lunghe processioni che – più o meno devotamente – coloravano i nostri paesi di fiori, statue, gonfaloni e baldacchini. Ma la pandemia non è riuscita a sottrarci la presenza del Signore in mezzo a noi, non è riuscita a spegnere in noi il desiderio di relazioni profonde, che irrorino i nostri cuori fiaccati da tante preoccupazioni.
Vorremmo essere, in questa domenica, un po’ Melchisedek: un personaggio che compare pochissime volte nella Scrittura – due delle quali sono riportate dalla liturgia della Parola di oggi –, di cui non sappiamo nulla, e che offre pane e vino con cuore lieto e riconoscente, con uno sguardo di benedizione e di lode. È un compito che la liturgia ci affida in ogni Eucaristia, proponendoci di alzarci in piedi per la preghiera che segue l’offertorio, a significare il nostro portare al Signore le nostre vite, le persone che le abitano, le croci e le gioie delle nostre comunità: è un compito che oggi vogliamo assumerci consapevoli che, in ogni momento della nostra vita, Dio è presente, è vicino, si fa pane e vino per alimentare e sostenere il cammino della nostra vita, così fragile eppur così preziosa.
Se impariamo a riconoscere la presenza di Dio in ogni momento, ogni momento sarà come il primo bacio, come il giorno in cui ci siamo sposati o siamo stati ordinati preti, come il giorno in cui è nato nostro figlio o nostra figlia. È una gioia che siamo chiamati a ricevere, a godere, a distribuire.