A cura di don Andrea Canal (11ª domenica del tempo ordinario - anno B)

La pazienza del contadino

Vorrei guidare le cose, senza essere guidato, vorrei decidere cosa succede al seme prima del tempo, senza la pazienza e la fiducia del contadino

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Quando sentiamo le parabole cerchiamo di capire dalle prime parole se le conosciamo e se sappiamo come andranno a finire, come un insegnamento che conosciamo bene, che non ha il fascino della novità. Anche se sappiamo che la Parola di Dio è viva ed efficace, ci sentiamo a nostro agio se è un racconto conosciuto perché sappiamo cosa vuole insegnarci e cosa Dio vuole da noi attraverso quell’immagine.

San Marco riesce a rompere la monotonia e le nostre previsioni con un incipit sorprendente, chiaro e deciso: «Così è il regno di Dio».

«L’insegnamento di questa parabola, così semplice, è in realtà molto difficile da capire: afferma la priorità assoluta di Dio manda alla malora ogni forma di efficientismo religioso che cerca di far crescere il regno di Dio con la propria attività, secondo i criteri mondani che regolano i rapporti di produzione» (Silvano Fausti).

Il modo in cui si realizza qui il regno di Dio non è in nostro possesso, perché segue altre regole e il paragone con il seme riesce a esprimerlo: noi possiamo desiderare quello che vogliamo per quel seme ma il suo portare frutto è fuori portata per noi, dobbiamo essere pazienti e docili, alcune cose dobbiamo accettare che possono procedere senza di noi e senza il nostro contributo. Mentre scrivo questo pensiero sono alla vigilia di un campeggio con tutti i desideri, le speranze, le preoccupazioni del caso, vorrei vedere il finale perché non so cosa può succedere, vorrei sapere cosa passa per la testa degli animatori, imparare da loro e, possibilmente, accompagnarli nel modo più adatto a ciascuno di loro. Vorrei guidare le cose, senza essere guidato, vorrei decidere cosa succede al seme prima del tempo, senza la pazienza e la fiducia del contadino. Questo succede a me oggi, chissà nelle nostre giornate, poi, quante volte ci succede di voler dirigere l’azione di Dio.

Anche la seconda parabola ha la stessa intenzione: ci suggerisce di guardare al futuro, ma per farci sorprendere, quel piccolo seme di senape saprà fare molto di più di quanto ognuno possa immagare, più di quanto si possa sprigionare da una cosa così inconsistente e invisibile. Ha l’aspetto della piccolezza. È questo uno dei criteri fondamentali della Sua presenza in mezzo agli uomini. È presente nei fatti concreti della vita. La Parola e l’Amore diventano storici con una presenza povera, nascosta e silenziosa. Di fronte a un Dio così o ci si arrende in maniera incondizionata oppure si fa una levata di scudi per non vederlo più.

Ancora una volta ci viene chiesto di avere speranza e di cambiare sguardo, per questo troviamo nuovo slancio dalla prima lettura. I profeti hanno cercato di sostenere questo sguardo nuovo nel popolo d’Israele in tutte le epoche perché glielo suggeriva Dio, non dobbiamo dimenticare che questa speranza e questa novità sono frutto dalla loro frequentazione con Dio. Tra i suoi modi di fare troviamo la freschezza della novità, la sorpresa delle cose piccole e la spontaneità delle cose genuine.

È un lavoro lento e costante, che non finisce in un giorno preciso o in cui ci si può sentire arrivati. Ci apre uno squarcio anche sul regno dei cieli, quello che pregustiamo qui ha attinenza con il dopo della nostra vita. Mentre siamo qui sulla terra possiamo coltivare «la determinazione di un maratoneta, la fiducia di un sognatore e la semplicità di un bambino» (E. Olivero). Il regno-seme cresce con la sua forza interna, si rigenera, si moltiplica, si fa cibo e riparo; sorprende anche se siamo distratti; chiede di essere seminato, atteso, sperato, raccolto.

… ma è già tanto, il regno di Dio è come un seme…e vale la pena scommettere che ancora germoglierà.