«Raymond Carver ha certamente dimostrato che non c’è bisogno di allontanarsi molto dalle proprie esperienze, dalle mura di casa propria o del proprio bar o posto di lavoro, per raccontare storie che colpiscano nel profondo. Vivere significa guardarsi attorno, per trovare lì la fonte dell’ispirazione. Questo mi ha insegnato Carver in questi anni: trovare storie dappertutto. E a leggere la mia vita in termini di storie, e non certo di obiettivi e risultati raggiunti». Così il critico letterario gesuita padre Antonio Spadaro nel suo ultimo libro dedicato all’autore statunitense citato sopra. Una frase però che ben si addice al primo incontro di «Polvere di stelle», l’iniziativa dell’Ufficio diocesano di pastorale dei giovani per la Quaresima 2021, stante l’impossibilità di organizzare in presenza le Viae crucis o altro.
In verità, la serata di venerdì 5 marzo non è iniziata con Carver, ma con l’Ungaretti di «Qui la meta è partire», un verso scelto da don Roberto De Nardin, direttore dell’ufficio, per dare l’abbrivio alla serata. E qui la prima difficoltà, cioè presentare l’ospite, Matteo Caccia. Costui è … qui la penna si ferma perché la figura poliedrica del giovane (1975) Caccia si lascia incasellare con difficoltà. Wikipedia lo restituisce come attore teatrale e conduttore radiofonico italiano; «ma io mi sento un autore, non uno storyteller», dice, e queste sono le sue prime parole al pubblico dei 70 – in realtà molti di più, come vedremo – giovani collegati in piattaforma: un autore perché «cerco di dar senso alle storie». Intervistato da Michele Giacomel, Caccia racconta il suo arrivo a Milano, come l’ingenuo Lorenzo Tramaglino secoli prima, da un paesino della provincia di Novara per studiare all’università, da dove lo ha distolto un corso di teatro. Poi il suo lavoro in palcoscenico con le compagnie teatrali; e l’approdo, come per caso, alla radio, dove con un collega aveva dato vita al programma «Amnesia». In cui Matteo Caccia si presentava così: mi chiamo Matteo Caccia, ho trent’anni, e un anno fa ho perso la memoria; e così raccontare, di giorno in giorno, quel che era successo l’anno prima. «Doveva andare avanti tre mesi, ne andò avanti undici» dice con un pizzico di lecito orgoglio. Da «Amnesia» a «Vendo tutto», un altro programma radiofonico in cui raccontava la storia degli oggetti che metteva in vendita su eBay: «perché le storie danno valore agli oggetti». Riconosce che «la radio è un mezzo che ha una temperatura più alta degli altri: la voce umana è uno degli strumenti comunicativi che ha il tasso di coinvolgimento più alta. E la radio premia la capacità di ascoltare».
Ed ecco infine «Linee d’ombra», ora condotto su Radio 24; un programma in cui raccoglie e racconta le storie degli ascoltatori, perché «storia chiama storia, e ogni storia è un regalo». «La maggior parte delle storie sono storie quotidiane; la categoria più frequentata da tutti sono le storie d’infanzia (vista come la golden age); di sport; di passioni; di viaggi; di incontri. Anche storie molto quotidiane; l’importante è che sia una storia. Tre elementi fan sì che il racconto sia una storia: un inizio, uno sviluppo e una fine». Qui Matteo Caccia si avvale dell’abbiccì della narratologia: la struttura del testo narrativo è da lui ben presentata quando dice «che differenza c’è tra che cosa è storia e che cosa non è?» e risponde «in una storia c’è un’azione interna che ne è la dinamica; la riconosci anche in forme nascoste quando quello chi te la racconta ti fa un preambolo lunghissimo, una intro infinita; ma poi arriva al punto in cui dice: è successo che… C’è un’azione che cambia il protagonista». Molto, che storia non è, viene contrabbandato per storia: ma sono riflessioni, descrizioni, considerazioni. Invece, «dal Nuovo Testamento a Guerre Stellari, le storie hanno un’azione che non lascia chi le vive com’era prima».
Torniamo alla serata della pastorale giovanile. Nei lavori di gruppo – perché, da Polpet a Sovramonte, molti giovani si sono riuniti in parrocchia, nel rispetto delle norme, e hanno seguito in molti da una sola videocamera – si è poi insistito sul fatto che ognuno ha la sua storia da raccontare; che non sono importanti solo le vite delle persone “importanti” bensì è importante ogni storia, anche la più semplice, anche la mia… su come la mia storia si intrecci con quella degli altri, la influenzi, e possa riconoscersi importante attraverso l’altro. Una storia di stelle, anche se tante volte sotto forma di polvere, è più importante di qualsiasi illusione e di qualsiasi idea. E forse è questa la frase più incisiva che Matteo Caccia consegna ai suoi giovani ascoltatori: «la grande illusione di chi si mette a scrivere si chiama ispirazione. Il lavoro creativo è vero solo quando è nella prima parte: è lavoro».
don Giuseppe Bratti