A cura di don Roberto De Nardin (5ª domenica di Quaresima - anno B)

La strada delle domande scomode

A volte anche noi costruiamo la nostra idea di fede su questi verbi: credere, obbedire, lottare

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“Credere, obbedire, combattere”. Così dicevano. Certo, erano altri tempi, altri “catechismi”, altre ideologie, altre massime, altri regimi (di tanti anni fa ma – se ci guardiamo un po’ intorno – mica tanto…). L’oggetto di questi predicati non era certo Dio. Eppure, scava scava, su questi tre verbi tante volte costruiamo ancora anche noi la nostra idea di cammino di fede: credere, obbedire, lottare. Vero, certo, ma fino ad un certo punto. O almeno da chiarire. Per educazione o immaginario, quando parliamo di vita spirituale partiamo tutti infatti ponendo l’accento sullo sforzo volontario, sull’impegno, sulla fatica, per ottenere un risultato con Dio… Ma è proprio così?

Inoltrandoci verso il termine di questo straordinario cammino di quaresima, siamo condotti per mano dalla liturgia, attraverso pagine bellissime, lungo la strada delle domande scomode, perché impongono uno scavo profondo che tuttavia ci illumina; siamo guidati verso alture di libertà in cui tante nostre precomprensioni su cosa significhi realmente credere nel Signore Gesù trovano orizzonti nuovi. E la tappa di questa quinta domenica non si smentisce; ne vogliamo cogliamo alcuni spunti partendo dalle letture.

Geremia dà una scrollata alle nostre pretese di avere le idee chiare sulla vita fede: egli, da profeta, ha fallito, tante volte e in prima persona, scontrandosi contro un popolo scelto, sì, ma traditore, ingrato ed illuso. La sua vicenda ci insegna molto e andrebbe approfondita. Ci basti questa: c’è un limite nel nostro andare a Dio, si chiama autosufficienza. Per questo nel rapporto con Lui non basta il comandamento, non basta la legge, non basta nemmeno la memoria di quanto è stato, non basta la tradizione. Tutto ciò è importante ma, alla lunga, causa frustrazione; presto o tardi si inaridisce, perdendo contatto con la vita vera. Pur con le migliori intenzioni, seguire Dio con il “devi” manifesta la nostra impotenza a vivere davvero con i nostri soli sforzi; o a ritenerli sufficienti. Meglio allora rinunciare.

Ecco allora la magnifica rivelazione di oggi: occorre “qualcosa” in più: una forza, necessaria e unificante; un’energia di vita, promettente e rigenerante. E questa linfa la dona il Signore stesso, albergando nel nostro cuore! Egli è già lì, in mezzo a tutti quella pietraia di pensieri, paure, suggestioni che si estende nel nostro animo; è lì nella forza di un cuore nuovo: amante, vivo, vero, sugello di una alleanza nuova. Non bisogna aver paura di non farcela ad arrivare a Lui: siamo prima di tutto noi resi capaci di corrispondere all’Amore, destinatari del dono di incontrarlo!

È la promessa di una vita “da Dio”! Per sperimentarla non serve rispettare una legge esteriore – e poi trasgredirla subito. L’impegno personale ci sta, certo, ma è su un altro piano: quello dell’obbedienza!…. Ahi, ahi, qui la parola suona strana, si ricade nei cliché di prima. Non proprio, perché bisogna capirsi; obbedire significa una cosa ben precisa: ascoltare! Abbiamo un cuore nuovo infatti nella misura in cui sappiamo metterci in ascolto della presenza di Dio che, in noi, sorregge, sostiene, piange, geme, ama…come ha fatto Gesù, nella sua vita terrena. E, come lui, vivere. La lettera ai Romani ci spalanca il dono di un Dio così vicino alla nostra umanità, che non possiamo non sentirlo nostro, per noi. Egli ha conosciuto il dramma di che cosa significa esistere su questa terra; egli ha sperimentato la sofferenza della croce, ma non l’ha affrontata in virtù di un’eroica bravura. Ha vissuto la vera obbedienza, l’ascolto della vita divina in Lui.

E chi impara da Lui ha la stessa vita. L’immagine del seme che il vangelo di Giovanni ci annuncia non è altro che questo straordinario miracolo dell’Amore di Dio: esso è nascosto, impercettibile, sopito nel nostro animo; eppure si dischiude, con immensa forza, quando arriva al limite, quando perde. Quando obbedisce e, ascoltando, si mette al servizio.  La vita di ciascuno, anche la più ordinaria e “banale”, anche quella che non passerà mai agli onori delle cronache, ha dunque la possibilità di sbocciare perché è già seminata nel suo quotidiano. Attraverso l’ascolto obbediente del nostro cuore, attraverso il coraggio delle nostre scelte, attraverso la cura delle relazioni, attraverso la consapevolezza di avere un tesoro nel nostro “vaso di creta”, siamo resi capaci di vivere una “vita da Dio” già ora, una dimensione più grande e più bella, che ha il profumo dell’eternità: è la Pasqua ormai vicina.