12 ottobre - Pellegrinaggio del presbiterio diocesano

Lievito di fraternità

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Un pellegrinaggio per cominciare insieme il nuovo anno pastorale: così vescovo, preti e diaconi della nostra diocesi – erano in 63 – hanno trascorso insieme la giornata di giovedì 12 ottobre, scendendo e sostando a Torre de’ Roveri, in provincia di Bergamo, nella chiesa della Risurrezione, che custodisce il ciclo delle icone sui discepoli di Emmaus firmato da Arcabas.

Ad accoglierli c’era il vescovo di Bergamo, mons. Francesco Beschi: la sua meditazione, proclamata con l’entusiasmo della testimonianza, si è innanzitutto chiesta perché una diocesi ricca di persone, strutture, prestigio e storia come quella bergamasca (e il discorso può allargarsi ad altre diocesi italiane) si senta ancora incompleta sul piano della gioia e della fecondità pastorale. «Non siamo generativi», ha richiamato il Vescovo: la crisi demografica è il sintomo più evidente di questa difficoltà sociale, ma non l’unico. Anche nelle diocesi troviamo molte attività, ma poca “Chiesa in uscita”; «ma ogni Chiesa dev’essere missionaria, per piccola e debole che sia, in numeri e in forze».

L’intreccio fecondo che il vescovo Beschi propone è quello tra missione e unità: per il presbiterio, unità vuol dire fraternità presbiterale, «che non si misura dal numero delle riunioni», ma dal creare relazioni e contatti, anche con chi alle riunioni non può o non vuole venire. Tipico del mondo cattolico – ha rilevato il vescovo – è l’attenzione al “fare”; manca invece la disposizione a ricevere e accogliere il dono, come fece Maria nell’esperienza dell’Annunciazione. Anche la comunione è un dono prima che un’organizzazione. Nell’esperienza della diocesi di Bergamo tutto questo significa l’avviamento di fraternità presbiterali che non si misurino solo con l’organizzazione delle 397 parrocchie e dai 13 vicariati, ma con la necessità di sane e profonde relazioni tra tutti i membri del presbiterio: è una Chiesa che si ridisegna per le nuove condizioni sociali e numeriche che si intravedono anche nei numeri di una diocesi così grande.

L’annuncio della risurrezione da sempre viene certificato in due segni: l’amore del prossimo e l’unità della comunità. Quindi la comunione tra i preti è la svolta epocale a cui ogni Chiesa è convocata: l’autonomia del parroco tridentino ha segnato positivamente un’epoca che però non c’è più. Oggi si pongono questioni pastorali che non un prete non può affrontare da solo, pena il rischio di scivolare nella stanchezza e nella tristezza. Mentre invece papa Giovanni XXIII (del quale il giorno prima si era festeggiata la memoria liturgica) ha fatto svoltare la Chiesa sulle parole «Gaudet Mater Ecclesia»; a lui fa eco l’Evangelii Gaudium, con cui papa Francesco ha aperto il suo pontificato.

Nel pomeriggio, le icone di Arcabas – già note ai presenti dalle due settimane residenziali di aprile e di giugno 2017 – sono state nuovamente contemplate prima della celebrazione eucaristica presieduta dal vescovo Renato, che nell’omelia ha detto ai suoi preti: «Siamo specchio positivo gli uni degli altri».

Ben impegnato anche il tempo del trasbordo in pullman, occupato dalla liturgia delle ore e dalle testimonianze dei preti che stanno vivendo tempi di passaggio: da una parrocchia a una nuova, o da una parrocchia a un altro ministero.