Sottolineature all'omelia del Vescovo

Nella cena del Signore

Un'assemblea numerosa, ma non presente in chiesa, convocata tramite i mass media

Facebooktwitterredditpinterestlinkedinmail

Clicca qui per leggere l’omelia del vescovo Renato

 

«In coena Domini». Il cartiglio della Messa del giovedì santo è in un latino facilissimo, domestico: durante la cena del Signore. «Questa notazione, “durante la cena”, ci coinvolge tutti nelle nostre case». Così il vescovo Renato ha iniziato la sua omelia nella celebrazione tenutasi questa sera in Cattedrale, con un’assemblea numerosa, ma non presente in chiesa, convocata tramite i mass media.

«Durante la cena – ha detto appunto il Vescovo – che noi definiamo l’ultima, comincia il triduo pasquale, in cui la Chiesa celebra la Pasqua del Signore. La particolarità di questi giorni di emergenza ci fa vivere la Pasqua anche in dimensione familiare». Che poi è quella in cui è nata la Pasqua: i gesti di Gesù nell’ultima cena, condividere il pane e il vino, raccontare di sé, confidare pensieri importanti, lavare i piedi agli apostoli sono «tra i più umili e concreti, addirittura banali nella loro semplicità», forse sconcertanti per chi «pensa agli atti di culto come azioni celestiali o angeliche. Il vero culto scaturisce dai gesti più elementari ed è fatto di essi, come il pane e il vino».

I gesti della famiglia e della casa non sono però solo imbevuti di poesia. In questi giorni di Covid i gesti hanno spesso la fretta della carità e il carattere dell’urgenza. «Ci sono gesti essenziali da compiere – ha proseguito il Vescovo – quando la vita soffre ed è in pericolo, laddove la salute di persone spesso anziane, ma non solo, è compromessa». Sulla lavanda dei piedi si concentra quindi l’attenzione del Vescovo: «non la facciamo, non solo perché non possiamo. Non la celebriamo qui, in cattedrale; perché si sta compiendo da parecchi giorni negli ospedali e nelle case di soggiorno per anziani, dove anche nelle nostre case con generosità e determinazione ci si dà alla cura delle persone ammalate». Mai come questa sera, nel triduo pasquale con il marchio del coronavirus, è evidente la doppia articolazione tra liturgia e vita, in cui l’una dall’altra prendono a vicenda verità e forza.

Quindici o vent’anni dopo i fatti di cui questa sera tutta la Chiesa ha fatto memoria nel giovedì santo 2020, Paolo, l’ultimo in ordine di tempo tra gli apostoli, scriveva ai cristiani di Corinto e asseriva di aver loro trasmesso quello che aveva ricevuto. «E tu – si è rivolto il Vescovo a tutti – che cosa hai ricevuto dal Signore che puoi trasmettere? Apriamo e abitiamo questa domanda. C’è una vita da sanare, da rendere promettente; e c’è uno stile nuovo di vita da apprendere».

don Giuseppe Bratti