A cura di don Vito De Vido (7ª domenica del tempo ordinario - anno A)

Nella pace un frutto di giustizia

«Non sono venuto a condannare, ma a cercare ciò che era perduto»

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Per coloro che fanno opera di pace viene seminato nella pace un frutto di giustizia. Da secoli i credenti si confrontano con questa pagina di Vangelo e ancora non riesce a viverla in maniera piena ed efficace se non in alcuni casi di santità. Dobbiamo essere sinceri: ci sentiamo sempre carenti quando proviamo a specchiarci, e riconoscerci, in queste parole del nostro Salvatore. Possiamo provare a spiegarle, a renderle meno aspre, a provare a farci sconti usando l’alibi “che occorre anche stare al mondo”, e che solo pochi possono permettersi di vivere appieno questo programma di Gesù. Eppure ce ne sentiamo attratti, come la limatura del ferro verso la calamita: ed è pur vero che il ferro viene attratto anche quando è ricoperto di ruggine. Questa attrazione ci fa ricordare di che cosa siamo fatti: la parte più intima di noi stessi è fatta per il cielo, è fatta per la vita eterna, che comincia con al gioia del Vangelo accolto, vissuto, praticato.

L’antico detto: “occhio per occhio, dente per dente”, racchiude in sé un estremo senso della giustizia: la pena per il delitto deve essere commisurato alla colpa commessa. Su questa base sono costruiti tutti i sistemi di giustizia antichi e moderni. Questa mentalità ci pervade anche nella letteratura: “Dei delitti e delle pene” di Beccaria ci convince quanto alla pena che deve essere pubblica, pronta, necessaria, ma anche la minima delle possibili pene per la data circostanza, proporzionata al crimine, approvata dalle leggi.

Anche nella letteratura questo concetto è ripreso da Dostoevskij nel romanzo “Delitto e castigo”, in cui il percorso verso il rinnovamento morale e spirituale deve passare necessariamente per il riconoscimento della colpa commessa e il pentimento. Anche il sistema educativo, quello del passato più ancora che il presente, sia in famiglia che nella scuola e nella società, passa attraverso il merito e il castigo per i successi o gli errori commessi. Può piacere o meno, ma questa è la mentalità che portiamo incisa nel nostro carattere, nella nostra mente e forse anche nel nostro intimo. Ci aspettiamo un castigo anche dal nostro Buon Dio, attraverso il quale cerchiamo di rimediare agli errori commessi. Persino la preghiera con cui esprimiamo il nostro pentimento per il male fatto dice “ho meritato i tuoi castighi”, che certi parroci hanno depennato o sostituito con frasi più rispondenti alla misericordia di Dio. Come possiamo pensare che il nostro Salvatore sia venuto per castigarci e non per salvarci? Egli stesso lo ripete: «Non sono i sani che hanno bisogno del medico, ma i malati». O ancora: «Non sono venuto a condannare, ma a cercare ciò che era perduto».

In questa visione di salvezza, leggiamo anche le parole di Gesù di oggi: non opporsi al malvagio, come ha fatto lui, richiede un coraggio e una determinazione che non sono solo frutto di un animo incredibilmente forte, ma di una convinzione intima e profonda che quella è la strada da percorrere. Molti sono stati gli aderenti a movimenti pacifisti e non violenti, che in alcuni casi hanno portato a un vero cambiamento di mentalità. Amare il nemico non è cosa che si improvvisa. Il perdono va nella direzione opposta al castigo, alla pena per la colpa o il delitto commesso. Gesù non sta scrivendo un trattato di comune convivenza, ma ci sta insegnando l’amore reciproco, la carità vera e profonda. Un cristianesimo non di facciata e neppure come sottile verniciatura ad una mentalità che ha ancora il sapore di desiderio più che di giustizia di vendetta o di rivalsa sull’altro. Gesù ci insegna con le sue parole e il suo esempio che l’altro non è un avversario, ma un fratello da amare e perdonare, da accogliere e da aiutare.

Amare coloro che ci amano non è un grande sforzo, e quindi non può essere considerato caratteristica dei soli cristiani: anche coloro che non conoscono Dio sono capaci di amare. Anche coloro che non seguono gli insegnamenti di Gesù salutano le persone che fanno parte della loro cerchia di conoscenti.

Se desideriamo vivere questa pagina siamo chiamati a fare di più, a distinguerci nella parola, nei gesti e nelle azioni. Il perdono, la comprensione, l’attenzione verso gli altri, il desiderio di recuperare i reietti, rieducare i colpevoli, insegnare a distinguere il bene dal male, è e rimane caratteristica del discepolo di Gesù. Rivalsa, vendetta, astio, non possono divorare il cuore e l’anima del credente: egli affida con fiducia a Dio la sua causa, non teme anche se la gloria dell’empio riempie la terra, perché per coloro che seminano la pace è preparato il frutto della giustizia.


Con il dono di questa omelia don Vito De Vido si congeda dall’appuntamento settimanale su questa pagina. Giunga a don Vito un sincero apprezzamento e tanta gratitudine per il servizio offerto dalla prima domenica di Avvento fino ad oggi. Il testimone ora passa a don Renzo Roncada, collaboratore pastorale di Limana.