Gente di poca fede è l’eloquente titolo di uno studio sociologico del 2019 che indaga la situazione della religione in Italia. Nonostante una viva ricerca di spiritualità, le conclusioni sono – inevitabilmente – negative per una certa forma di cristianesimo: il cattolicesimo italiano, così tenacemente radicato nel popolo del Belpaese da definirlo “popolo di santi e navigatori”, è affaticato. Non è una situazione lontana dalle nostre comunità, ormai anche da quelle di montagna: ed è proprio per questo che, anzitutto, vogliamo far risuonare in noi il consolante invito di Gesù a non temere.
I credenti di questo tempo complesso non devono dubitare mai della vicinanza incoraggiante, dell’amore premuroso, della guida attenta dello Spirito: l’atteggiamento che accompagna il fiducioso abbandono della fede è il risveglio del cuore. Gesù definisce “beati”, cioè pieni di una gioia discreta, che sazia, che riempie la vita, coloro che vivono un’attesa fedele e disponibile, con le orecchie tese, con il cuore spalancato: è insita nella fede la sofferenza che si accompagna alla partenza, all’uscire dalla propria terra, alla fiducia. Nel cuore della fede, sta la certezza dell’azione di Dio, che nasce dalla memoria: il coraggio dei credenti, afferma il libro della Sapienza, nasce dall’ascolto della promessa e dall’intervento liberatore di Dio nella storia.
Come la celebrazione pasquale risale fin all’Esodo, ne rinnova il ricordo grato e rinforza la speranza dei giusti, così l’Eucaristia che ogni domenica vede riunirsi la comunità è la passione e la risurrezione di Gesù che ancora accade, che ancora rinnova le forze e i sogni dei cristiani, che ancora dona slancio e generosità per testimoniare il Vangelo. Se siamo venuti a Messa, se ci accostiamo alla Parola e all’Eucaristia, è perché vogliamo ridestare il nostro cuore, renderci attenti all’opera del Signore nelle nostre giornate, nella vita dei nostri paesi e delle nostre città, nei fatti che succedono: Dio continua ad agire!
Cristiano non è chi difende determinati valori – pur giusti –, o chi si spende per mantenere un determinato modo di vivere la fede, ma chi custodisce nel cuore la faticosa attesa del Signore risorto, chi vive nella sua carne, nella sua mente, nel suo cuore «il fondamento di ciò che si spera e la prova di ciò che non si vede»: la Pasqua di Cristo! La fede, come ogni relazione, si nutre di desideri, di sogni, di vicinanza, di intimità.
La fede, come ogni relazione, contiene in sé una promessa, gravida di futuro: l’anonimo autore della lettera agli Ebrei, nella sua densa e bellissima meditazione sulla fede, si sofferma sulle figure di Abramo e di Sara, destinatari della promessa di Dio, modelli di fede per ogni credente. È, la loro, una fede non scevra dal dubbio, dal sorriso beffardo ed incredulo, dalla tentazione di fare di testa propria; ma è anche una fede capace di ascolto, capace di movimento, capace di mettere e rimettere in gioco, di sparigliare le carte della vita, di aprire orizzonti e prospettive nuove.
«Non temere, piccolo gregge» sono le parole che sono rivolte oggi a noi, e che ci invitano ad andare all’essenziale, a prendere in mano la nostra fede – sempre bisognosa di purificazione e di crescita, in qualsiasi età della vita, in ogni condizione ci troviamo – e a rinnovare la nostra attesa, a ridestare il nostro cuore, a risvegliare l’attenzione per l’azione di Dio che prelude al Suo arrivo festoso. Che ci è stata promesso. Che guardiamo da lontano, forse con angoscia, forse con attesa impellente. Che, nella fede, non possiamo dubitare che arriverà.