«La fatica non piace a nessuno, e il salario fa comodo a tutti. Se esistesse un sistema di lavoro e di retribuzione come quello del racconto odierno, il mondo sarebbe fatto solo di operai della penultima ora»!
È senza dubbio una conclusione affrettata, questa; ma è anche sostanzialmente giusta. A meno che non teniamo d’occhio l’avvio del racconto, della parabola, senza perderci subito in considerazioni legittime che distraggono.
1. C’è un padrone di casa che desidera collaboratori per la sua azienda. È interessato a circondarsi di persone attive, impegnate, partecipi di un progetto. Noi vi scorgiamo subito il volto di Dio, signore della storia, che Egli fa avanzare con le azioni e le scelte degli uomini. Nel Regno del Padre l’ozio e la disoccupazione volontaria stridono, o dovrebbero stridere più che altrove. Talvolta la comunità cristiana e la Chiesa stessa sperimentano proprio questa contraddizione. C’è tanto, tantissimo da fare, rinnovare, programmare, approfondire, ma ci sono anche tanti che se ne stanno a braccia conserte perché non hanno colto l’urgenza della loro opera. Stanno letteralmente in piazza, a guardare, a fare da spettatori, o a criticare chi fa qualcosa!
2. Il salario è unico per tutti: o ci troviamo di fronte all’arbitrio, al capriccio; oppure dev’essere una moneta che vale molto. Quell’unica moneta uguale per tutti, che non può diventare causa di litigio tra noi o accusa verso il padrone, è la vita eterna, la salvezza. Da sola, ripaga le fatiche dei lavoratori più zelanti e il ritardo degli ultimi arrivati. Da sola, dovrebbe avere il potere di infondere energia e speranza, perché parte sempre dalla mano stessa del padrone. La parabola costringe, logicamente, anche a pensare un insegnamento di massima importanza: Dio chiama tutti e chiama a tutte le ore. Il problema, insomma, della chiamata, dovrebbe incoraggiare più che quello della ricompensa.
3. E poi, quello che ci ha detto la prima lettura, e che va sempre rispolverato: «i miei pensieri non sono i vostri pensieri, dice il Signore». Quando ci mettiamo a giudicare noi l’operato di Dio, ci facciamo sempre delle figuracce. Gli appiccichiamo le nostre meschinerie, i nostri difetti addirittura. Invece, vera relazione con lui è affidarsi. L’unità di misura del padrone sono gli “ultimi”: è da quelli che comincia la retribuzione. A premiare soltanto i primi della classe, non c’è poi questa grande originalità…