KENYA – Monsignor Virgilio Pante, originario di Lamon, ci scrive della sua esperienza missionaria

«Quando s’invecchia, si tende a guardare indietro…»

Il fondatore della Consolata, diceva: «Il tempo per riposarvi non è su questa terra, ma solo in Paradiso»

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Il nostro Ufficio Missionario sta raccogliendo le esperienze dei missionari e delle missionarie bellunesi e feltrini non più giovani, sia ancora in missione che rientrati in Italia, per preparare il nuovo numero della rivista “Notizie”, sul tema “Alla sera della vita”.

Mons. Virgilio Pante – Padre Virgilio è nato a Lamon nel 1946 ed è missionario della Consolata. Ha operato in Kenya dal 1972, nelle diocesi di Nyeri, Marsabit, Kisumu, Nairobi e Maralal. Dal 2001 è vescovo di quest’ultima diocesi. Pensando “alla sera” della sua vita, così ci scrive: «Anch’io il prossimo anno (2021) raggiungerò i 75 anni di  età. Come vescovo, mi è richiesto di scrivere al Papa la lettera di rinuncia dalla mia diocesi di Maralal, che ho iniziato e ho servito per quasi 20 anni. Allora dovrò diventare vedovo e… disoccupato? No, nessuno dei due…».

Per tutta la vita

«Sempre – precisa monsignor Pante – porterò la mia diocesi nel mio cuore, nella preghiera e nelle sofferenze della vecchiaia, a meno che il coronavirus non mi spedisca in riposo in anticipo (questo virus è arrivato anche in Kenya, grazie agli aerei…). Lavoro e apostolato ne troverò sempre e dovunque. La vocazione deve continuare per tutta la vita. Il beato Giuseppe Allamano, fondatore dei missionari della Consolata, ci diceva: “Il tempo per riposarvi non è su questa terra, ma solo in Paradiso”. Ogni tanto mi chiedono: “Andrai poi a finire i tuoi anni in Italia o resterai qui con noi in Kenya?” Beh, c’e’ ancora tempo per pensarci. Ma io preferirei essere seppellito non lontano dalla mia sposa, la mia diocesi di Maralal, che sposai il 6 ottobre 2001.  Tutti mi dicono che adesso ci sarebbe più bisogno in Italia, nuova terra di missione. Vero! Ma dopo 50 anni di assenza mi sentirei spaesato. Parlando da egoista, trovo più soddisfazione in Africa, dove ci sono forse più problemi ma anche molta più fede. Ogni volta che vado in vacanza in Italia, mi assale un po’ la tristezza: mancano i bambini, la festa, la condivisione… e non siamo mai contenti. Il Buon Dio ci permette di toccare il fondo per poi prendere una spinta e risalire in alto. Forse anche questo virus ci purifica, ci ridimensiona e ci riporta ai valori essenziali della vita e della solidarietà. Viaggiamo tutti sulla stessa barchetta in balìa della bufera, come dice papa Francesco, ma Lui Gesù ci dice di non aver paura, perché ci salverà se ci fidiamo di Lui».

L’ora del silenzio

«In questi giorni il Signore mi dice: “Virgilio, smettila di predicare, di correre come se tutto dipendesse da te; è ora che tu faccia un po’ di silenzio!” Sì, è Lui, il Signore, che vuole parlarmi. E anche la gente vuole parlarmi. Allora devo mettermi di più in ascolto, ma non della TV o di WhatsApp. Ora ho abbondante tempo per ascoltare e interiorizzare. Il mio primo vescovo, monsignor Carlo Cavallera, che mi fece costruire e dirigere il seminario diocesano del Buon Pastore qui a Maralal nel 1979, era un terremoto di attività, un genio di amministrazione. Ma quando si ritirò nel 1981, scelse di spendere i suoi ultimi anni in un convento di Suore di Clausura a Torino, per pregare, per il tempo che non aveva pregato abbastanza. Ricordo che prima di partire dal Kenya chiese a noi missionari scusa per il suo carattere forte e la sua fretta. Era molto esigente con se stesso e con noi. I genitori di una volta erano esigenti e facevano pochi complimenti ai loro figli. E ci disse finalmente un bel Grazie!».

La ricchezza degli anziani

«Quando s’invecchia, si tende a guardare indietro e si scopre che tutto fu un grande dono, gratis e non meritato. Allora non ci resta che dire semplicemente: Grazie! Grazie al Buon Dio e grazie alla buona gente che ci ha supportato e sopportato.

Avanzando negli anni s’impara un po’ di saggezza: cioè, attraverso le esperienze positive e negative, si acquista una visione più ampia. Ci si concentra sulle cose essenziali e quelle più importanti. Infatti il tempo che resta è ormai corto e non si vuole sprecarlo in cose secondarie. Se guardiamo agli ultimi papi, eletti in età di pensione (!), ad esempio San Giovanni XXIII e anche quelli più recenti, essi hanno fatto passi da gigante: non hanno perso tempo in questioni accademiche di teologia. Hanno aperto porte e finestre per andare incontro al mondo intero. Pur zoppicando per la loro vecchiaia, hanno girato per tutti gli orizzonti portando messaggi di dialogo e di pace. Hanno sognato una chiesa in uscita. La vera maturità porta sempre ad una apertura verso gli altri. A me impressiona parlare con gli anziani, non solo preti, e ricevere idee che mi fanno crescere. Papa Francesco molte volte ha invitato i giovani a dialogare con gli anziani per arricchirsi e per costruire su basi solide. Qui in Africa gli anziani sono ancora valorizzati e stimati».

Non perdiamo tempo!

«Abbiamo tra il popolo Samburu un detto: “La famiglia e la comunità si costruiscono con i polmoni e non con il cuore”. Vuol dire, non con la fretta o la forza ma con la pazienza. Infatti i polmoni si muovono piano piano, mentre invece il cuore batte veloce. Anche il coronavirus ci sta insegnando che il nostro ritmo frenetico ci porta alla tomba, ci porta al suicidio della nostra cosiddetta civiltà e della nostra madre terra. Io invidio mio nonno Tita che alla sera, dopo aver mangiato il solito minestrone di fagioli di Lamon, si sedeva sullo scalino del fienile aspettando la notte; poi c’era il rosario e finalmente la nanna. Come faceva lui a vivere senza la TV? Mi piace questo proverbio brasiliano: “Il poco con Dio è molto; il molto senza Dio è niente”. E il nostro papa Francesco: “Quello che conta non è quanto possediamo, ma quanto doniamo”. Alla fine della nostra vita saremo giudicati sull’amore. Allora non perdiamo tempo!»

Virgilio Pante – vescovo