A cura di don Giorgio Aresi (4ª domenica di Pasqua - anno C)

Quanto è difficile riconoscere la “voce di Dio”

Non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano

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«Bisogna essere molto pazienti», rispose la volpe. «In principio tu ti siederai un po’ lontano da me, così nell’erba. Io ti guarderò con la coda dell’occhio e tu non dirai nulla. Le parole sono fonte di malintesi. Ma ogni giorno tu potrai sederti un po’ più vicino…».

(A. De Saint-Exupéry, Il Piccolo Principe, Bompiani, Milano 2004, p. 94)

Lo sappiamo, è difficile, o forse è meglio dire faticoso, essere pazienti; e più di una volta le parole sono “fonte di malintesi”. Perché è difficile ascoltare; forse è un’arte ascoltare, ma un’arte che abbiamo sempre bisogno di imparare. Ascoltare chiede umiltà. L’umiltà di non pensare subito alle tue parole, ma lasciare che un altro – e un Altro – ti apra gli occhi su te stesso e ti parli.

Potrei chiedermi in questo momento: sono capace di ascoltare? Quanto è difficile riconoscere la “voce di Dio”. Il Vangelo, la Parola di questa Domenica, ci fanno capire cosa può voler dire ascoltare e cosa puoi vivere se riesci a riconoscere la voce di Dio.

In quel tempo, Gesù disse: «Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono» (Gv 10,27).

Immagine, che ritorna più volte nella Scrittura, e dice una cosa chiara: chi ascolta la voce di Dio è “pecora” che ascolta e segue. Non “pecorone”, che si lascia portare dalla prima voce che parla e che suade, ma persona che segue perché riconosce una voce affidabile e sicura. Se Gesù fa sua queste immagini, la figura del pastore, è perché desidera essere per ogni persona voce sicura che guida il cammino della vita.

Niente e nessuno ti impone di ascoltare, di fidarti, di camminare con Dio. Ascoltare Dio nella vita è certamente non facile, riconoscere la sua voce e decidere di dargli fiducia è sempre e rimane alla fine una scelta tua.

Come leggiamo nella Prima Lettura: «Molti Giudei e prosèliti credenti in Dio seguirono Paolo e Bàrnaba ed essi, intrattenendosi con loro, cercavano di persuaderli a perseverare nella grazia di Dio» (At 13,43). In quella prima comunità cristiana nessuno si sentiva obbligato, ma c’è un desiderio, un’esigenza del cuore di ascoltare. Non è così anche per noi? Quanto desiderio c’è di ascoltare e riconoscere la presenza di Dio? Non abbiamo forse nel cuore un profondo desiderio di Dio, di potergli dare fiducia?

Però non possiamo fare finta di nulla. Ascoltare, fidarsi e camminare con Dio – insomma la fede – è vero che ti spalanca la possibilità di trovare qualcosa di sicuro su cui costruire la tua vita, ma non è una passeggiata. Il cammino della fede nella tua vita ti chiede la fatica delle domande, dei dubbi, delle ostilità, delle incomprensioni anche di chi ti è vicino.

È il senso delle parole della Seconda Lettura: «E uno degli anziani disse: “Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti, rendendole candide col sangue dell’Agnello”» (Ap 7,14). La fatica della e nella fede c’è nella nostra vita, ma tutto è custodito da un senso, come ci ricorda ancora il testo dell’Apocalisse: «e Colui che siede sul trono stenderà la sua tenda sopra di loro. Non avranno più fame né avranno più sete, non li colpirà il sole né arsura alcuna, perché l’Agnello, che sta in mezzo al trono, sarà il loro pastore e li guiderà alle fonti delle acque della vita. E Dio asciugherà ogni lacrima dai loro occhi» (Ap 7,15-17).

E il senso delle cose, del mondo, della vita e tutto racchiuso alla fine nelle parole vere di Gesù che leggiamo nel Vangelo: «Io do loro la vita eterna e non andranno perdute in eterno e nessuno le strapperà dalla mia mano» (Gv 10,28).

È una promessa, la promessa di una pienezza e di un destino vero che Dio pronuncia per ciascuno di noi, perché noi siamo certi che nulla della nostra vita va perduto. Da qui possiamo continuare ogni giorno il nostro cammino.